Donna e madre, donna o madre, i due ruoli faticano a convivere nella protagonista dell’intenso – e non banale – film scritto e diretto da Maxime Rappazm, Solo per una notte. Un film che Wanted porta nei cinema italiani dal 12 dicembre, dopo un interessante percorso internazionale, e che racconta quella che lo stesso regista descrive come “la storia dell’emancipazione di una madre devota, di un’amante esigente, di una donna ispirata dall’amore, una donna che ci permette di entrare nel suo mondo per la durata di un’estate”.
Nel ruolo della protagonista, Jeanne Balibar, già vincitrice del César per la miglior attrice nel 2018 (per Barbara di Mathieu Amalric) e della ‘Concha de Plata’ di San Sebastián nel 1998 (per il Fin août, début septembre di Olivier Assayas), negli ultimi anni apparsa nei film di Ladj Ly (Les Misérables), Apichatpong Weerasethakul (Memoria) e Xavier Giannoli (il Illusioni perdute del 2021) e qui fondamentale nel tenere a battesimo il primo lungometraggio del regista svizzero. Che nel 2018 aveva diretto il cortometraggio Tendresse (un tutto in una notte in una sauna omosessuale) con alcuni degli attori coinvolti in questo suo debutto – Pierre-Antoine Dubey, Adrien Savigny e Philippe Schuler – già candidato al Premio del cinema svizzero per il miglior film del 2024 (ma sconfitto dal Blackbird Blackbird Blackberry della georgiana Elene Naveriani di Wet Sand).
La storia di Solo per una notte
Claudine (Jeanne Balibar) è la madre single di Baptiste, un ragazzo disabile (Dubey) con il quale vive nella stessa casa che utilizza per la sua piccola sartoria. Una vita comune, in un piccolo centro, che si ripete sempre uguale a se stessa, giorno dopo giorno, a parte il martedì. Ogni settimana, infatti, nello stesso giorno, la donna prende un treno locale per raggiungere l’hotel nei pressi della vicina diga della Grande Dixence, nel cantone Vallese, dove – con l’aiuto del giovane receptionist Nathan (Savigny) – sceglie ogni volta un uomo solo, prossimo a lasciare la struttura e il paese, al quale proporre una notte di sesso senza implicazioni. Dopo un italiano (Gianfranco Poddighe), un inglese (Alex Freeman), uno svizzero (Schuler), conosce il tedesco Michael (Thomas Sarbacher), ingegnere idrico con il quale la conoscenza finisce per approfondirsi, e mettere a rischio l’equilibrio faticosamente costruito da Claudine, che inizia a pensare a sé, la propria libertà e al futuro.
Un trenino chiamato Desiderio
Quanto la liberazione sessuale sia ancora una tappa di una diversa e più profonda riappropriazione di sé e dei propri spazi, soprattutto per una donna, ma non solo, è un interessante quesito che la premessa del film suggerisce. Non l’unico e non il principale, tutto sommato, ma certo quello con il quale, sin dalle prime immagini, ci troviamo ad avere a che fare e – attraverso il quale – a cercare di decifrare, o almeno conoscere (superficialmente), la matura protagonista. Una prostituta? Una libertina? Un’anima dolente in fuga dal proprio inferno? Una persona come tante, divisa tra priorità e umano egoismo? Quale che che sia il motore che spinge Claudine a prendere il treno ogni martedì per godere – in ogni senso – del proprio tempo, il primo impatto con la vicenda è sicuramente condizionato da questo interrogativo, che conquista da subito lo spettatore, intrigandolo.
Non da un punto di vista sessuale, meglio specificarlo, che i corpi nudi e la tensione fisica sembrano esser volutamente deprivati di ogni carica seduttiva, quasi a far emergere la transitorietà di una soddisfazione mai effettivamente raggiunta, considerato anche il trasporto con cui vediamo Claudine partecipare agli incontri con i suoi partner occasionali e il ‘fine’ che rivelano, quello di consolare forse più il figlio che la madre. Una dedizione assoluta, insomma, una rinuncia totale a sé e i propri bisogni e desideri, che nessuno – o quasi – potrebbe sostenere a lungo senza porsi domande, senza avere REALI tentazioni.
Intrigante, ma non abbastanza
Comprensibile quindi scoprire un lato dissonante nella donna autocondannatasi alla solitudine in uno splendido esilio montano, una sua diversa umanità, con il quale empatizzare, senza fermarsi al giudizio più scontato, e magari andando contro quello che è giusto. Andando anche oltre un istinto materno che a tratti lascia spazio a un malcelato senso di colpa, o del dovere, e finisce per trascurare proprio l’oggetto di tanto amore, limitandosi a una immagine del diverso (per handicap, in questo caso) anacronistica e infantile, che per fortuna ha vita breve.
Temi e possibilità intriganti, come si diceva, e trattate in maniera stimolante e non banale, sulla carta. Perché è poi nella resa sullo schermo che il film – pur restando una opera prima più che degna e interessante – zoppica, non riuscendo sempre a trovare il giusto tono o la giusta forma espressiva per dubbi ed emozioni tanto complesse. Facendo risaltare, in tanta rarefazione, i momenti più impostati e meno autentici, effetto anche di una interpretazione sì intensa ed elegante, sì contrastata e quasi misteriosa, ma piuttosto manierata e artificiosa.
Solo per una notte
Sommario
Facendo risaltare i momenti più impostati e meno autentici, effetto anche di una interpretazione sì intensa ed elegante, sì contrastata e quasi misteriosa, ma piuttosto manierata e artificiosa.