È stato a pieno titolo lo spaventapasseri dell’81° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia The Brutalist, di Brady Corbet, che già nel 2018 aveva partecipato al Concorso del festival con Vox Lux. 215 minuti con tanto di intervallo programmato dallo stesso regista in fase di montaggio, una maratona ma anche un viaggio appassionante in una vita incredibile. Il film arriva in sala il 6 febbraio, distribuito da Universal, forse della vittoria di tre Golden Globes (regia, film drammatico, protagonista drammatico) e 10 nomination agli Oscar 2025.
La storia di The Brutalist
La storia segue la vita di László Tóth (Adrien Brody), un ebreo ungherese sopravvissuto al campo di concentramento che è riuscito ad arrivare in America. Il film si apre proprio con una scena che sembra una seconda nascita: László emerge dal ventre brulicante di anime speranzose della nave che lo ha portato a Ellis Island e inneggia alla Statua della Libertà. È riuscito ad arrivare nella terra che gli promette una nuova vita. Così, si reca a Philadelphia dove vive un suo cugino, Attila (Alessandro Nivola), e qui si sistema nel retro del suo negozio di mobili e comincia a lavorare con lui. Pian piano scopriamo piccoli frammenti della vita del protagonista: sembra una persona gentile e con la testa bassa, ha subito razzismo e odio e sembra che queste ferite non abbiano scalfito il suo animo disponibile e gentile. Scopriamo anche che è un architetto abilitato alla professione e che potrebbe essere di grande aiuto al cugino con il suo negozio di mobili su misura.
Corbet fornisce man mano
piccoli pezzi per dipingere l’affresco della vita di Toth,
arricchendo e ampliando sempre di più l’orizzonte della storia.
L’incontro con Harry Lee (Joe Alwyn) apre un nuovo
capitolo della vita di László, scopriamo non solo che è un
architetto, ma che è un genio e che in Ungheria ancora restano in
piedi degli edifici che lui ha progettato e di cui si parla sulle
riviste di architettura. L’uomo viene incaricato di realizzare una
sala lettura ristrutturando una vecchia e caotica libreria, per il
giovane Harry Lee un regalo al padre.
Il “villain” di Guy Pearce
È in questo modo che entra in gioco Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) che diventa un contorcano potentissimo alla figura di Toth. Le due metà in cui il regista divide il film sono nettamente differenti: la prima offre una parabola ascendente, vincente della vita del personaggio e si conclude infatti con il suo risveglio artistico, la seconda si apre con l’arrivo negli Stati Uniti della moglie e della nipote, riuscite infine a sfuggire ai campi di concentramento e ad arrivare nella Terra Promessa.
A metà di The Brutalist, l’arrivo della moglie (Felicity Jones) cambia totalmente gli equilibri di László, il grande amore che li accomuna viene messo alla prova da imprevisti e ostacoli che ne condizionano le rispettive vite, in più la relazione tra l’architetto e il suo mecenate si complica, si trasforma e si stratifica. I due sono “artista/mecenate, ebreo immigrato/sangue blu americano, servitore/sfruttatore” e anche qualcosa di molto più oscuro. Van Buren vuole che costruisca qui: una combinazione di auditorium, palestra, biblioteca e cappella, fatta di cemento e marmo di Carrara, che sarà un monumento di lusso a Doylestown nella contea di Bucks.
Una relazione simbiotica
tra artista e mecenate
Questo incarico, il dramma della costruzione dell’edificio, diventa un vero e proprio tormento per il protagonista, una ossessione, e il punto di svolta nella sua relazione con Van Buren. Per il magnate finanziatore si tratta di una estensione della sua persona, della sua eredità e anche di un modo per piegare al suo volere quel talento che tanto invidia nell’architetto. La relazione diventa quindi una simbiosi sempre più conflittuale, che culmina nella loro visita alle miniere di marmo di Carrara, in Italia, dove il tono diventa rarefatto, drammatico e onirico e dove si consuma un crimine che più che reale e fisico assume sfumature metaforiche. I due interpreti, sempre molto attenti a scegliersi i ruoli in un momento storico in cui le produzioni si fanno sempre più numerose e di vario livello, regalano allo spettatore delle interpretazioni di altissimo profilo, in cui Pierce conferma il suo fascino ambiguo e Brody pare dare continuità al personaggio che gli ha regalato il premio Oscar nel bellissimo Il Pianista di Roman Polanski.
The Brutalist, una riflessione su cosa vuol dire essere un artista
The Brutalist è
un racconto archetipico di immigrazione e ambizione, di cosa
significhi essere un artista. Ma è anche un racconto che affronta
l’essere ebrei in un mondo che vi si avvicina con estrema
ambivalenza, un requisito storico, potremmo dire, dell’approccio
verso questo popolo perseguitato. Appare anche intrigante la scelta
del nome per il protagonista del film: László Tóth, lo stesso nome
dell’operaio ungherese che vandalizzò La Pietà di Michelangelo a
San Pietro. Come a voler dire che l’atto della creazione implica
una distruzione di quello che già esiste, ed è quello che fa il
protagonista, distruggendo quello che era per costruire un nuovo
modo di concepire gli edifici, come espressione della propria
interiorità.
A questi argomenti che vengono fuori con naturalezza dalla storia, sembra chiaro che il regista voglia aggiungere una componente di grandiosità, un grande romanzo biografico in cui la vita di un uomo straordinario ci passa davanti agli occhi, con le sue ascese e le sue cadute, in una continua ricerca della realizzazione personale con la sublimazione della propria esperienza personale attraverso l’architettura.
Panoramica
Sommario
Un grande romanzo biografico in cui la vita di un uomo straordinario ci passa davanti agli occhi, con le sue ascese e le sue cadute, in una continua ricerca della realizzazione personale con la sublimazione della propria esperienza personale attraverso l’architettura.