The Eternal Daughter, recensione del film di Joanna Hogg

La recensione di The Eternal Daughter, in concorso a Venezia 79, per la regia di Joanna Hogg e interpretato da Tilda Swinton.

The Eternal Daughter Tilda Swinton

Con The Eternal Daughter, in concorso a Venezia 79, Tilda Swinton e Joanna Hogg tornano a collaborare per la terza volta, in un film che si configura come estensione massima dello stile registico di Hogg, a cui è possibile approciarsi soltanto con la consapevolezza del lavoro simbiotico che le due svolgono da tantissimi anni – fin dai tempi dell’università – e concretizzatosi con i film The Souvenir e The Souvenir 2.

 

Il film più d’atmosfera di Joanna Hogg

La trama di The Eternal Daughter vede un’artista (Julie) e la sua anziana madre (Rosalind) confrontarsi con segreti a lungo sepolti quando fanno ritorno nella vecchia casa di famiglia, ora diventata un hotel infestato da un misterioso passato.

The Eternal Daughter è un film di difficilissima natura. Bisogna portarsi dietro il bagaglio conoscitivo che ci offerto il rapporto tra Julie e la madre nei due Souvenir per comprendere quanto a fondo la Hogg voglia spingersi con questa analisi spettrale e struggente della figura femminile, in cui il doppio agevola la messa in scena di un rapporto generazionale e Tilda Swinton non fatica a recitare, deve semplicemente rispondere alla fatica che soggiace ai ruoli di madre e figlia.

Sempre minimale ma rigorosissimo nella messa in scena, The Eternal Daughter è il film più d’atmosfera della Hogg. Da sempre interessata al sovrannaturale, era già da prima della pandemia da Covid-19 che la regista desiderava mettere in scena una storia di fantasmi. Senza un copione preciso a guidarne la recitazione, Tilda Swinton segue il richiamo dei suoni naturali per ricostruire la cronistoria di legame indissolubile, che nasce dalla proiezione del sè nell’altro, dall’idea del rompicapo ipnotico che avvolge le cornici delle storie gotiche.

The Eternal Daughter, o meglio, The Souvenir 3

Per quanto visivamente intrigante, The Eternal Daughter si perde paradossalmente nello spazio confinato che sceglie come propria ambientazione, un albergo spettrale e dall’impatto visivo incontestabile, che riecheggia tuttavia sprazzi di quello che sarebbe potuto essere un The Souvenir 3. Nella ridondanza recitativa – conoscevamo già tanto di madre e figlia dai precedenti film – l’ultima fatica di Joanna Hogg risulta quasi inaccessibile, vittima del dilatarsi di una linea del tempo che solo regista e attrice conoscono veramente, ed è impossibile che lo spettatore riesca ad immergervisi altrettanto. The Eternal Daughter è il risultato di conversazioni durate quindici anni tra Swinton e Hogg, che si sono interrogate a lungo sul divario generazionale tra loro – figlie dalla vocazione artistica – e le loro madri, raffinatissime e altolocate, per cui una professione artistica non poteva essere assolutamente contemplata.

Non tutti hanno figli o figlie, ma tutti abbiano una madre e siamo figli. Tilda/Julie/Rosalind decide di identificarsi in entrambi i punti di vista, cercando di simpatizzare con queste proiezioni del se, non lasciarsi spaventare e dimostrare che la conversazione tra le due parti continua sempre, non deve per forza finire secondo i ritmi della natura, bensì nutrire il tempo che verrà.

Nel periodo di tempo trascorso insieme, Julie e Rosalind condividono la stessa voce e lo stesso volto. Entrambe invecchiano poco a poco, ma hanno il tempo necessario per dar voce alla paura più grande dei figli e delle madri: avere sbagliato qualcosa, non essere stato all’altezza. Un confronto continuo, terapeutico ma estremamente struggente, che fa dell’eternità la chiave per (ri)leggere la filmografia di un’artista estremamente autobiografica e che ancora non vuole finire di raccontarsi.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Agnese Albertini
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the-eternal-daughter-joanna-hoggPer immergersi completamente nell'atmosfera di The Eternal Daughter è necessario capire il lavoro simbiotico che Joanna Hogg e Tilda Swinton svolgono da anni. Ridondante nella sua struttura narrativa - pur essendo il film più d'atmosfera della regista - questa terza prova della Hogg è sicuramente un passo indietro, o una terza versione non richiesta, dei due The Souvenir.