Se l’aveste persa nell’intenso e straziante Pieces of a woman, il concorso della Mostra di Cinema di Venezia offre un’altra interessante occasione di godere della bravura della star di questa edizione, la britannica Vanessa Kirby. È sua la scintilla che accende The World to Come di Mona Fastvold, adattamento dell’omonimo racconto di Jim Shepard, qui anche sceneggiatore al fianco di Ron Hansen (che al lido avevamo già conosciuto per The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford, nel 2007).
È lei la bellissima e vitale Tallie, che trasferitasi con il marito nella Contea di Schoharie scuote la pigra quotidianità della coppia formata da Katherine Waterston (Abigail) e Casey Affleck (Dyer). Siamo nel 1856, e all’epoca erano piccole famiglie contadine a popolare questo angolo dello Stato di New York, sorta di coloni coraggiosi consacrati al duro lavoro e poco altro. Come emerge sin dalle prime scene del film e dalle pagine del diario della stoica Abigail, un costante contrappunto che fa da io narrante – e da coscienza – all’intera vicenda.
Parole ed emozioni
Il potere della scrittura è il primo protagonista che incontriamo, strumento di fuga, libertà ed emancipazione per donne costrette a un ruolo pericolosamente vicino a quello di ogni altro strumento a disposizione del fattore. Una porta aperta verso altri mondi, o altri alieni come lei. Una porta spalancata ad accogliere la nuova amica, con la quale subito si stabilisce un rapporto speciale che riempia il vuoto delle loro vite. E che vediamo trasformarsi sotto i nostri occhi in una storia romantica e contenuta, nella quale lo stesso desiderio sembra cercare una sua forma espressiva.
Che non può esser solo quella delle parole, che pure avvicinano le due donne, o delle emozioni, così difficili da formalizzare. La comprensione profonda che si stabilisce tra loro supera ogni codice e la passione, che a lungo il film lascia sottintesa, traspare da piccoli gesti, sguardi, sorrisi. Il risultato è una storia d’amore talmente soffusa e intima da fagocitare l’intero sviluppo, che procede in maniera volutamente diseguale.
Un amore difficile
Lento, placido, inizialmente, quasi a seguire e sottolineare il rigido inverno che fa da incipit al ‘mondo che è’. Immobile, poi, soppiantato dal racconto e dal succedersi degli incontri tra Abigail e Tallie. ugualmente statico per lunghi tratti. L’azione langue, sia sullo schermo sia a livello narrativo, e tanto i ruoli quanto la crisi non potrebbero definirsi senza la voce off ad accompagnarci.
E forse l’attenzione dello spettatore sarebbe messa a più dura prova se non ci fossero degli intermezzi a scaldare gli animi. Ovviamente siamo sempre dalle parti di dramma e disperazione, vista la realtà che vivono i nostri personaggi, nella quale persino Dio delude le aspettative (figurarsi gli uomini, e le donne), ma con l’arrivo della bella stagione le fughe delle due ci regalano scorci piacevoli e momenti di aperta poesia.
La tragedia è inevitabile
Una volta scoperte le carte, ecco l’accelerazione. Dichiaratasi ‘prigioniera dell’assenza’ della compagna, è la silenziosa Abigail a proporre una vena ‘crime’ inaspettata. Ormai liberata dalla scoperta dei suoi sentimenti può affrontare anche il marito, sfidare il ruolo impostole e azzardare un sospetto nei confronti di un altro uomo. I mezzi a sua disposizione però son sempre quelli della parola e della scrittura, che tornano protagonisti in un finale ‘a sorpresa’ che lascia non pochi rammarichi.
Non tanto per l’accenno alla parte più turbolenta della passione amorosa, finalmente rivelata, quanto per quello all’evoluzione del carattere di Abigail. Irriducibile e armata di nuovo coraggio, pronta a sfidare convenzioni, mascolinità varie e persino la realtà. Il lasciarci intuire una tale forza fa parte dell’ondata con cui si conclude il film, un colpo di coda nel quale sembrano concentrarsi e sfogarsi le emozioni tanto a lungo compresse. E dopo il quale tutto sembra possibile. Sulla strada verso il tanto promesso ‘mondo che verrà’.