To The Wonder: recensione del film di Terrence Malick

To The Wonder

In To The Wonder Terrence Malick racconta la storia di Marina (Olga Kurylenko) e Neil (Ben Affleck), due giovani che si innamorano follemente a Parigi (città di lei) per poi trasferirsi in Oklahoma (città di lui) e cominciare così una nuova vita insieme. I problemi però non tardano ad arrivare e quel sentimento così puro finirà col consumarsi e frantumarsi. Complice la scadenza del visto di Marina, Neil si riavvicinerà a una vecchia fiamma (Rachel McAdams); tornata poi negli Stati Uniti, Marina cercherà conforto spirituale confidandosi con Padre Quintana (Javier Bardem), uomo di chiesa tormentato dagli stessi dubbi esistenziali della donna e disperatamente alla ricerca di risposte.

 

To The Wonder è un cammino difficile verso quella meraviglia che è la vita. Ed è Padre Quintana a dirlo allo spettatore intorno alla metà del film quando si chiede com’è possibile che tutto si rovini, com’è possibile che quel disegno divino creato da chi è capace di tanta grazia eccelsa vada inesorabilmente in frantumi. Con il suo sesto lungometraggio uscito ad appena un anno di distanza dal pluripremiato The tree of life, più che raccontare una storia d’amore Malick decide di esplorare le fasi dell’amore, di provare a sondare le stagioni del cuore per poi scoprire che una volta arrivato il momento delle foglie secche il ciclo non riparte ma, semplicemente, muore.

La lingua che parlano i protagonisti è quella dell’incomprensione del genere umano che il regista texano decide di portare in scena attraverso l’uso di quattro lingue diverse: l’amore parlerà la sua lingua per antonomasia, il francese; l’amore che si appiattisce sul grigiore della vita sarà in inglese; l’amore, quello per Dio, che vacilla senza risposta troverà conforto in un caldo spagnolo mentre infine l’amore più grande, quello per la vita, quello per se stessi, verrà proposto in italiano.

To The Wonder

La lingua dell’incomprensione però è un’arma a doppio taglio e sembra essere il linguaggio che il regista è destinato a usare con lo spettatore. Tutti le tematiche presentate, così come una storia nel senso stretto del termine, sono solo vagamente accennate e lasciate alle supposizioni di uno spettatore più disorientato che coinvolto. To The Wonder porta alle estreme conseguenze quel nuovo meccanismo narrativo proprio di Malick cominciato in La sottile linea rossa, mantenendo alti lirismo e squarci visivi dimenticando però che il cinema è, in primo luogo, narrazione e racconto che in To The Wonder perdono ogni ragion d’essere dietro ai meandri di una storia mai raccontata, invischiata in parallelismi disincantati sulla caducità della bellezza della natura destinata a soccombere.

Eppure al regista le carte in tavola non mancano per dar luogo a un’esplorazione dell’animo umano da fare storia, facendo proprie quelle peculiarità registiche che l’hanno reso grande nel corso degli anni nonostante una produzione esigua che però ha sempre brillato per originalità e quel senso di metafisica mai raggiunto da nessun altro. L’uso di quella voce fuori campo, narratore onnisciente che sembra raccontare le vicende dal di dentro più profondo dei singoli personaggi perde ogni efficacia di fronte a immagini un po’ troppo patinate (continui i contro luce) e stereotipate, come quella della protagonista, la più classica delle europee innamorata della vita impegnata in perpetui saltelli e balletti difficili da digerire di fronte alla grande domanda cui il film punta: ci si dovrebbe ostinare a far funzionare le cose o si dovrebbe prendere atto del fatto che l’amore cambia e non è detto che duri per sempre?

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