Marco Oletto dirige la sua opera prima, Zoran il mio nipote scemo, sceneggiandola insieme a Daniela Gambaro, Pier Paolo Piciarelli, e Marco Pettenello. La storia seppur abbastanza rivisitata nel cinema, l’uomo burbero e egoista che riscopre i valori della vita, usa il registro della commedia per mostrare la vita di un uomo ben radicato in un territorio, come l’est Italia, per raccontare i lati scuri e anche un po’ grotteschi che può avere il genere quando è ben strutturato.

 

In Zoran il mio nipote scemo Paolo è uomo cinico, egoista e bugiardo che trascorre le sue giornate in osteria. La sua vita subisce un brusco cambiamento quando la morte di una vecchia parente lo costringe ad accudire un quindicenne sloveno, forbito e perfezionista, col talento per le freccette e che potrebbe portargli la svolta che egli cerca dalla vita.

Zoran il mio nipote scemo, il film

Sin dalle prime inquadrature veniamo trasportati in questo paesino vicino Gorizia, in cui si respira l’atmosfera del piccolo centro, con i suoi ritmi lenti, i suoi volti conosciuti e le abitudini ormai consolidate che sembra che nulla possa ostacolare. Il film seppur ha una struttura estremamente lineare senza troppi artifici  riesce a trovare la giusta profondità per suscitare il coinvolgimento nelle dinamiche della storia, che si innesca non appena Paolo ha la possibilità di recuperare la sua vita attraverso i silenzi del giovane Zoran. Infatti per essere un esordio, il regista impone sin da subito l’abilità con cui riesce a dirigere il personaggio di Giuseppe Battiston, un protagonista intriso di stereotipi viziati dall’alcool e che impongono una visione del mondo incattivita e cinica. Facendo emergere così un personaggio che per una buona prima parte del film tende a distruggere i piaceri o le felicità delle persone che lo circondano e sposarsi all’immagine della sua terra, un paese di frontiera. Questa viene abbattuta non appena Zoran entra nella sua sfera, portando quel giusto bilanciamento alla storia attraverso l’efficace interpretazione di Rok Prašnikar, che ripaga con un ingenuo affetto lì dove viene usato il secondo fine.

I due attori scenicamente, già intrisi di una buona componente fumettistica, riescono a trovare la giusta alchimia per dare vita ai toni allegri che la sceneggiatura non tralascia nonostante la grande componente sonora dei Sacri Cuori, la falsa retorica viene lasciata da parte per un finale che arriva in maniera veloce rispetto alle altre vicende, in cui il buonismo fa da cornice portando con sé una sorta di finale dal sorriso amaro, in cui il personaggio rimane comunque stereotipato e si ha un apparente rovescio di ruoli che ci porta dalla visione cinica a quella ingenua, che segna dritto al centro nella storia e propone una commedia diversa, geografica e intima nel panorama cinematografico italiano.

- Pubblicità -