Tilda Swinton, il fascino dell’imperfezione

Tilda Swinton
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Androgina, ambigua, seducente, magnetica, colta ed intelligente: sono troppi gli aggettivi che, come pennellate su una tela, possono schizzare con fascinosa imperfezione la figura longilinea e snella della rossa Tilda Swinton, classe 1960, londinese di nascita battezzata con il nome di Katherine Mathilda Swinton (detta, successivamente, Tilda).

 

Erede di una ricca famiglia di tradizione militare, cresce in un ambiente ricco e agiato ed è addirittura compagna di scuola e amica di Lady Diana Spencer; tutto scorre secondo millenari codici inflessibili almeno fino alla sua laurea in Scienze Politiche e Sociali all’Università di Cambridge: dal 1983 in poi, il carattere anticonformista, ribelle e indomito di Tilda emerge in modo dirompente, tratteggiando quelli che saranno i tratti distintivi della propria personalità. Simpatizza per il Partito Comunista di Gran Bretagna (lei, figlia ed erede di militari); muove i suoi primi passi a teatro presso la Royal Shakespeare Company e il Traverse Theatre di Edimburgo, ma decide di dedicarsi al cinema e ad altre forme d’arte sperimentale, come le avanguardie performative. Ad incarnare perfettamente le esigenze della turbolenta – e giovane – Tilda è l’opera avanguardistica del regista, pittore e scenografo inglese Derek Jarman, attivista per i diritti LGBT morto prematuramente a causa dell’AIDS nel 1994. La Swinton si trasforma in musa ed amica per Jarman, recitando in tutti i suoi film dal 1985 fino al 1994, incluso il suo testamento spirituale Blue: un lungometraggio acustico in cui lo schermo è “invaso” dal colore blu (metafora della cecità di Jarman, ormai sconfitto dalla malattia) le cui parole – tratte dai suoi diari – sono affidate alle voci narranti di amici e collaboratori stretti, tra i quali figura anche l’attrice.

Con Derek Jarman, “padre” della cultura punk inglese, contestatore e castigatore di paure e debolezze della società britannica, Tilda Swinton riesce ad esprimere fin da subito quelli che sono i tratti peculiari della sua recitazione, strettamente connessa con la propria particolare fisicità: interpreta la prostituta Lena nel film Caravaggio (1986) e la regina Isabella di Francia in Edoardo II (1991), vincendo una Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al Festival di Venezia.

A partire da questi successi la sua carriera comincia a viaggiare, in parallelo, su due binari: da una parte le sempre maggiori richieste da parte del cinema mainstream, che ha bisogno della sua presenza androgina e caratteristica; dall’altra, i lavori più underground e sperimentali, vicini al mondo della video – arte (tradizione inaugurata da Jarman che era solito immortalare la quotidianità dell’attrice tramite curiosi Super8) o comunque dei progetti low budget indipendenti.

Sul fronte della vita privata, nel frattempo la lanciatissima Tilda Swinton trova il tempo di vivere una lunga relazione (1989-2003) con il commediografo e pittore scozzese John Byrne (più grande di vent’anni) che sarà coronata dalla nascita di due gemelli, Honor e Xavier, nel 1997, almeno prima di trovare un nuovo amore nell’artista tedesco Sandro Kopp (con il quale la Swinton ha ben diciott’anni di differenza). Quando nascono i due figli ha ormai già assaporato il grande successo: è nel 1992 che gira Orlando, film tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf e diretto da Sally Potter. Il film è un successo di critica e si trasforma subito in un cult soprattutto grazie all’interpretazione della Swinton, che con estrema naturalezza interpreta un personaggio che cambia sesso nel corso della narrazione.

Nel 2000 è accanto a Leonardo DiCaprio in The Beach, diretti da Danny Boyle; nel 2001 viene diretta da Cameron Crowe insieme a Tom Cruise, Penelope Cruz, Kurt Russell e Cameron Diaz nel remake Vanilla Sky, che segue di poco l’uscita del thriller statunitense I Segreti del Lago (The Deep End) per il quel viene candidata ai Golden Globes. Per il film del 2003 sceglie di tornare a lavorare con una crew scozzese (almeno per quanto riguarda regista e attore) calandosi nei panni controversi di uno dei personaggi di Young Adam, al fianco di Ewan McGregor mentre vengono diretti da David Mackenzie. Se riesce ad affiancare, in modo parallelo, progetti indipendenti e particolari come Il Ladro di Orchidee di Spike Jonze (2002) a progetti vicini alla linea dei “primi” cinecomics come Costantine (2005), insieme a Keanu Reeves e Rachel Weisz, non manca di lanciarsi in progetti sperimentali, complessi e rischiosi come i film Perversioni Femminili (1996, dove interpreta un’avvocatessa lesbica), Conceiving Ada (1997, biopic su Ada Augusta Lovelace, matematica e figlia di Lord Byron), Possible Worlds (1999, film privo di qualunque filo logico) e Teknolust (2004, realizzato dalla videoartista Lynn Hershman-Leeson che dirige Tilda Swinton – nei panni di una biogenetista – e i suoi tre cloni).

Solo nel 2005 torna ad interpretare dei panni istrionici ma “rassicuranti” (per quanto possa esserlo una strega!) nel primo capitolo della saga de Le Cronache di Narnia – Il leone, la strega, l’armadio. Dopo aver collaborato con i fratelli Coen nel 2008 (in Burn After Reading – A prova di spia) torna a condividere la scena con George Clooney nell’avvincente e teso thriller Michael Clayton (2007), che le frutta una nuova nomination ai BAFTA (dopo quella maturata con il film dei Coen), una nomination ai Golden Globe, agli Screen Actors Guild Award e, infine, la vittoria di un Accademy Award come miglior attrice non protagonista, per ora l’unico della sua ricchissima carriera.

Tilda Swinton, il fascino dell’imperfezione

Tilda Swinton ha da sempre dimostrato la tendenza a voler collaborare molte volte con gli stessi registi, instaurando rapporti di fiducia e sintonia: è il caso – già citato – di Jarman, ma anche di Jim Jarmusch (diretta da lui in ben tre film: Broken Flowers, The Limits of Control e Only Lovers Left Alive), dei fratelli Coen (Burn After Reading e Ave, Cesare!); l’italiano Luca Guadagnino (il cortometraggio The Protagonists, Io Sono l’Amore, A Bigger Splash e il futuro remake di Suspiria previsto per il 2017) oltre al famoso Wes Anderson con il quale ha collaborato in Moonrise Kingdom e nel recente Grand Budapest Hotel, nel quale interpreta Madame D., un’anziana ereditiera ultraottantenne. E proprio il trasformismo che dimostra nel film di Anderson, sotto uno spesso strato di trucco e un ardito “parrucco”, ricorda la trasformazione sempre della Swinton nello sci – fi distopico di Bong Joon-ho Snowpiercer (2013).

È importante citare, inoltre, la sua partecipazione al film di David Fincher Il Curioso Caso di Benjamin Button (insieme a Brad Pitt e Cate Blanchett) oltre alle sue performance “stand alone” in Julia e …e ora parliamo di Kevin, impressionanti prove che la portano a raccogliere sempre maggior successo di pubblico e critica oltre che una pioggia di premi e candidature.

Un nuovo banco di prova, pronto a mettere in discussione il talento camaleontico e multiforme di questa splendida attrice scozzese è il nuovo cinecomics targato Marvel Cinematic Universe e diretto da Scott Derrickson, Doctor Strange: affiancando il protagonista Benedict Cumberbatch, Tilda Swinton interpreterà l’Antico – ovvero il maestro del Dottor Strange e del Barone Mordo – l’ennesima incarnazione ambigua del suo fascino androgino, esibito così sfacciatamente soprattutto nei videoclip musicali ai quali ha preso parte durante la sua lunghissima carriera, dall’aliena caduta sulla terra in The Box, della formazione elettronica degli Orbital, al malinconico singolo di David Bowie The Stars (Are Out Tonight), del quale forse è sempre stata l’unico doppio plausibile, l’unico riflesso accettabile immortalato nel guizzo inafferrabile della propria, straniante, bellezza aliena.

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