Resurrection: recensione del film di Bi Gan

Un viaggio sensoriale e metacinematografico che attraversa un secolo di sogni, immagini e mutazioni del tempo.

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Resurrection di Bi Gan è un viaggio allucinato e poetico nella memoria del cinema e nella struttura del tempo, una riflessione meta-narrativa divisa in sei capitoli che attraversano decenni di storia, generi, sogni e disillusioni. In concorso a Cannes 2025, il film rappresenta una delle proposte più radicali e visivamente audaci del festival, confermando il talento visionario del regista cinese, già autore di Long Day’s Journey Into Night.

Il sogno che viene dall’origine del tempo

Il film si apre con un cartello enigmatico che annuncia una dicotomia tra due umanità: da una parte chi vive per sempre ma non può più sognare, dall’altra chi sogna ma è destinato a morire. In questo futuro immaginario — o forse già presente — una voce narrante si presenta come “resuscitatrice”, incaricata di restituire vita e corpo a questi ultimi, cancellando ogni traccia del loro passato. A incarnare questa funzione salvifica è proprio questa figura femminile che torna di episodio in episodio, come un’ombra onnipresente. Ma è soprattutto il personaggio del Fantasmer, interpretato in molteplici versioni da Jackson Yee, a dare coerenza a una narrazione frammentata e pulsante.

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Ogni episodio adotta uno stile visivo e narrativo diverso, omaggiando tappe fondamentali della storia del cinema. Dal muto e i codici dell’espressionismo tedesco — con chiari riferimenti a Nosferatu e Frankenstein — ai chiaroscuri del noir anni ’40, dai melodrammi provinciali alla nouvelle vague asiatica, fino a un lungo piano sequenza ambientato nella notte del 31 dicembre 1999, Resurrection è un atlante cinefilo in forma di racconto speculare. I riferimenti si stratificano: Orson Welles, Wong Kar-wai, Hou Hsiao-hsien, Tarkovskij. Ma l’ambizione di Bi Gan non si esaurisce nella citazione: ogni stile diventa pretesto per interrogarsi su cosa significhi guardare, sognare, sopravvivere al tempo.

La proposta più audace e visionaria di Cannes 78

La struttura a episodi, più che unitaria, risulta modulare. Alcuni segmenti sembrano cortometraggi autonomi, legati tra loro da un filo emotivo e concettuale più che narrativo. È possibile che il film sia nato proprio come raccolta di esperimenti, tenuti insieme successivamente da un’idea guida più ampia. Ma nonostante questo, Resurrection non perde mai potenza: ogni sequenza è concepita come un esercizio sensoriale estremo, dove il suono, la luce e il corpo diventano materia viva.

I riferimenti a sogni, visioni, illusioni e reincarnazioni sono costanti, in un gioco filosofico che evoca più volte la natura illusoria del cinema stesso. Il tempo, a sua volta, viene trattato come un’entità instabile: può scorrere, arrestarsi, riavvolgersi. E proprio quando il Fantasmer chiude le orecchie, il mondo sembra riprendere a girare.

Il segmento ambientato nel 1999 rappresenta il culmine emotivo e tecnico del film. Girato in un unico, lunghissimo piano sequenza, segue un ragazzo in fuga e la donna che ama attraverso una notte densa di desiderio, angoscia e promesse mai mantenute. Le luci al neon, la musica pop, i karaoke e le feste clandestine ricreano una dimensione sospesa tra la fine del secolo e la fine del mondo. In questo spazio-tempo liquido, Bi Gan riflette sul potere delle immagini di fermare ciò che è destinato a dissolversi.

Bi Gan firma un’opera sul cinema e per il cinema

La parte conclusiva riporta lo spettatore al punto di partenza. Lo fa con una malinconia struggente, mostrando come il tempo, alla fine, divori ogni cosa, compresi i sogni stessi. Ma è proprio nel sogno che Bi Gan trova una possibilità di resistenza, di rinascita, di resurrezione. Resurrection è un film impossibile da riassumere, da spiegare, forse persino da comprendere fino in fondo. Ma come accade solo con il grande cinema, rimane addosso, nel corpo e nella mente, molto più di quanto lasci intendere la sua superficie rarefatta.

Con questa terza regia, Bi Gan firma un’opera di rottura, che va oltre le logiche delle piattaforme e dell’accessibilità immediata, abbracciando un cinema che sfida e accoglie, che chiede partecipazione e offre, in cambio, stupore.

Resurrection
4.5

Sommario

Con Resurrection, Bi Gan firma la sua opera più ambiziosa e radicale: un’esperienza cinematografica ipnotica, visivamente sbalorditiva e narrativamente sfuggente, che si interroga sulla natura stessa del cinema e dei sogni. Non tutto è di facile comprensione, ma ciò che resta è un’impressione decisamente indelebile.

Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è redattrice e critica cinematografica per i siti CinemaSerieTv.it, ScreenWorld.it e Cinefilos.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese. Collaboratrice del canale youtube Antonio Cianci Il RaccattaFilm, con cui conduce varie rubriche e live streaming, è ospite ricorrente della rubrica Settima Arte di RTL 102.5 News.

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