Dopo quasi tre decenni dagli eventi di 28 Giorni Dopo, il regista premio Oscar Danny Boyle torna nell’universo narrativo che ha ridefinito il genere horror post-apocalittico con 28 Anni Dopo (28 Years Later), un’opera che mescola intrattenimento ad altissimo profilo, lucida analisi politica e un cuore vibrante, sorprendentemente emozionante. Al suo fianco, ancora una volta, c’è lo sceneggiatore Alex Garland, con cui Boyle aveva già collaborato per dare vita al virus della rabbia che ha devastato il Regno Unito sullo schermo.
Questa nuova iterazione non è solo un sequel: è il primo capitolo di una nuova trilogia (il secondo film è già stato girato!), e al tempo stesso una riflessione profonda sui traumi collettivi del nostro presente. Il film, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures, è al cinema dal 18 giugno con un cast stellare che include Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O’Connell, l’esordiente Alfie Williams e un sempre straordinario Ralph Fiennes.
La trama di 28 anni dopo: una nuova isola, una nuova missione
La storia ci porta su una piccola isola, una specie di fortezza, collegata alla terraferma da una singola e fortemente sorvegliata strada rialzata che è percorribile solo con la bassa marea. In questo microcosmo sopravvive una comunità isolata, braccata dal ricordo del passato e dal timore costante di ciò che vive oltre il confine. Il virus della rabbia, infatti, continua a infestare il continente e ha trasformato gli esseri umani in creature rabbiose, predatori instancabili. L’uomo si è adattato a vivere in comunità che ripropongono lo stile di vita degli anni ’50, promuovendo un machismo che diventa simbolo di forza e quindi maggiore possibilità di sopravvivenza, mentre i ruoli di genere vengono rigorosamente rispettati e incoraggiati seguendo un’aspirazione anacronistica. Ma se le persone sane hanno trovato questo modo di sopravvivere, anche gli infetti si sono adattati, non muoiono più di fame, ma si organizzano in gruppi, cacciano, sono veloci e aggressivi e ogni branco/tribù è capeggiato da un alpha, un esemplare maschio particolarmente aggressivo e pericoloso. In questo mondo allo sbaraglio, il piccolo Spike imparerà il valore della morte e quello dell’amore.
La speranza è giovane
È la coraggiosa decisione di Spike a cambiare la sorte del film, a modellarne il genere e a dare inizio al più classico dei viaggi di formazione. La sua esplorazione si trasforma in una parabola generazionale, dove il protagonista diventa un punto di rottura rispetto all’immobilismo della sua comunità. Incontrerà segreti sepolti, testimonianze del passato e nuovi modi di vivere, umanità e bestialità, speranza e disperazione, e di volta in volta imparerà a forgiare il proprio destino attraverso gli avvenimenti.
Un film profondamente politico
Boyle dirige con mano ferma, consapevole della tradizione visiva e concettuale da cui proviene, ma anche intenzionato a spingersi oltre. Se 28 Giorni Dopo era un film sulla sopravvivenza, 28 Anni Dopo è un film sull’eredità. L’eredità dei traumi pandemici, delle divisioni politiche, della Brexit, del lockdown, della paura, ma anche dell’adattabilità che l’uomo ha dimostrato a questi grandi stravolgimenti. Il film parla direttamente a chi ha vissuto gli ultimi cinque anni in un mondo che sembrava collassare e ora fatica a ritrovarsi. Una fotografia precisa di quello che stiamo vivendo, un occhio lucido e all’erta su quali sono i pericoli che l’isolamento contemporaneo genera. 28 anni dopo è un’esperienza profondamente politica, ma mai predicatrice: la sua forza sta nel mostrare, non nel dire. E ovviamente come mostra Boyle, nessuno.
Estetica digitale e tensione di altissimo livello
Il regista premio Oscar sfrutta a suo beneficio la tecnologia leggera, per portare lo spettatore dentro la storia. Sporca le panoramiche, fa tremare le riprese dall’alto, mostra la meraviglia e il terrore nei confronti di una natura splendida e insidiosa con uno stile serrato e vibrante che usa al meglio il digitale e si fa erede di quel 28 giorni dopo che era stata la prima distribuzione worldwide in digitale.
L’occhio di Boyle è dinamico ma calibrato, capace di alternare momenti di pura adrenalina a scene di profondo silenzio e tensione emotiva. Il montaggio è teso, serrato, mai gratuito. Ogni inquadratura serve a costruire una narrazione che è tanto viscerale quanto simbolica. La colonna sonora, come da tradizione boyliana, è di altissimo livello: atmosfere elettroniche e orchestrali si fondono per accompagnare lo spettatore in un viaggio disturbante ma affascinante, capace di evocare le emozioni più disparate nell’arco di pochi minuti.
Un cast in stato di grazia
Ben noto per aver lanciato le carriere di alcuni degli interpreti più interessanti del panorama contemporaneo, Danny Boyle affida la sua storia a dei volti molto noti e amati del cinema: Jodie Comer offre una performance intensa e stratificata, Aaron Taylor-Johnson esplode sullo schermo nel suo ruolo patriarcale e violento ma inadeguato di fronte al nuovo, Jack O’Connell, in un ruolo che sarà sviluppato nei prossimi film, si conferma un attore trasformista, capace di meraviglie. Ma è il giovane Alfie Williams a sorprendere: il suo personaggio è il cuore del film, un simbolo fragile ma determinato che incarna la possibilità di un futuro diverso. Infine, completa il cast in un ruolo enigmatico e potente, Ralph Fiennes, che aggiunge profondità e un macabro lirismo alla narrazione.
La scrittura chirurgica di Alex Garland
La sceneggiatura di Alex Garland è chirurgica: mai dispersiva, sempre centrata, capace di equilibrare azione e introspezione. I dialoghi sono misurati, carichi di significato anche nei silenzi. Il mondo di 28 Anni Dopo è costruito con coerenza, ma anche con una vena poetica che emerge nei contrasti tra la brutalità del contesto e l’umanità dei protagonisti.
Nonostante un finale che prelude chiaramente a un secondo capitolo più oscuro, Boyle non rinuncia alla speranza. E lo fa senza retorica: la fiammella della possibilità resiste, incastonata in un mondo che ha perso tutto ma forse può ancora trovare qualcosa di nuovo. Non è la solita storia apocalittica: è una riflessione sul nostro tempo, travestita da film di genere che riesce a essere anche di grande intrattenimento.
28 Anni Dopo è un grande ritorno. Non solo per la qualità tecnica e la forza narrativa, ma per la capacità di parlare al presente, anche attraverso il filtro di un futuro distopico. Boyle ha confezionato un’opera potente, e per un attimo consolatoria, ci ricorda che la speranza può sopravvivere. Anche se non a lungo.
28 Anni Dopo
Sommario
Un grande ritorno, un film politico ed emozionante. Allo stesso tempo di grande intrattenimento.