Acqua scura: la spiegazione del finale del film

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Acqua scura (Honogurai mizu no soko kara), diretto da Hideo Nakata nel 2002, è uno dei titoli più emblematici dell’ondata horror giapponese che ha conquistato l’Occidente tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000. Dopo il successo internazionale di Ringu – The Ring (1998), Nakata torna a esplorare le paure più profonde attraverso un horror psicologico che mescola fantasmi, trauma e tensione domestica, proseguendo quel percorso stilistico fatto di atmosfere opprimenti, silenzi carichi di inquietudine e una minuziosa attenzione al dettaglio.

Il film si inserisce pienamente nel filone del J-horror, caratterizzato da una visione meno spettacolare ma più suggestiva e disturbante dell’orrore, dove la componente sovrannaturale è spesso legata a traumi irrisolti e al dolore della perdita. Tratto da un racconto breve di Koji Suzuki, autore anche del romanzo Ring, Acqua scura affronta temi come l’abbandono, la maternità, l’infanzia tradita, l’isolamento, i quali si intrecciano con elementi sovrannaturali, dando vita a una narrazione che lavora sottotraccia, più evocativa che esplicita, ma capace di generare un senso di disagio crescente.

Il successo di Acqua scura ha consolidato ulteriormente la reputazione internazionale di Nakata, spingendo Hollywood a realizzarne un remake nel 2005: Dark Water, diretto da Walter Salles e interpretato da Jennifer Connelly, che pur mantenendo l’impianto narrativo originale, opta per una resa più esplicita e drammatica. Il film originale giapponese resta tuttavia quello più sottile e disturbante, capace di colpire per la sua ambiguità e per la profondità emotiva del finale. Ed è proprio il finale di Acqua scura – enigmatico, toccante e carico di simbolismo – che merita un’analisi più attenta. Nei prossimi paragrafi, ci concentreremo dunque su ciò che accade nel segmento conclusivo del film.

Hitomi Kuroki e Rio Kanno in Acqua scura
Hitomi Kuroki e Rio Kanno in Acqua scura

La trama di Acqua scura

La storia è quella di Yoshimi Matsubara (Hitomi Kuroki), una giovane madre che si trova nel pieno di un doloroso divorzio insieme alla figlia di sei anni, Ikuko (Rio Kanno). Pressata dalla battaglia per l’affidamento e dalla necessità di dimostrare stabilità, Yoshimi si trasferisce con la bambina in un modesto appartamento all’interno di un grigio e vecchio palazzo alla periferia di Tokyo. Ma l’apparente tranquillità finisce rapidamente. Dal soffitto iniziano a cadere misteriose gocce d’acqua e inquietanti rumori provengono dall’appartamento di sopra, un tempo abitato da una famiglia ora scomparsa senza spiegazioni chiare. Yoshimi cercherà dunque di venire a capo di quel mistero, riportando a galla una realtà molto dolorosa.

La spiegazione del finale del film

Nel corso del terzo atto di Acqua scura, la protagonista Yoshimi comincia a comprendere la vera natura degli eventi sovrannaturali che infestano l’appartamento in cui vivono. Le continue infiltrazioni d’acqua dal soffitto, gli indumenti da bambina che appaiono misteriosamente, l’ascensore che sembra agire autonomamente e la figura spettrale che si manifesta in modo sempre più insistente sono tutti segnali che portano Yoshimi a una terribile scoperta: la presenza che infesta l’edificio è lo spirito di Mitsuko, una bambina scomparsa anni prima nello stesso complesso residenziale.

Uno dei momenti chiave avviene quando Yoshimi trova una cartella scolastica identica a quella di sua figlia, che però risulta appartenere a Mitsuko, e successivamente scopre che la bambina era stata trascurata e abbandonata dalla madre fino a morire, dimenticata, nel serbatoio d’acqua sul tetto dell’edificio. Questo particolare spiega anche la causa delle macchie e delle infiltrazioni d’acqua contaminata che affliggono l’appartamento. L’acqua diventa così simbolo di putrefazione, ma anche di memoria: è la materia che trasporta il ricordo e la rabbia dello spirito di Mitsuko, che cerca non tanto vendetta, quanto attenzione e una figura materna che possa finalmente colmare il vuoto lasciato dalla propria madre assente.

Rio Kanno in Acqua scura
Rio Kanno in Acqua scura

Il climax emotivo del film si consuma quando Yoshimi, rendendosi conto che Mitsuko sta cercando di prendere il posto di sua figlia Ikuko, si trova di fronte a una scelta estrema: sacrificarsi per salvare la bambina. Nella scena più potente del film, Yoshimi abbraccia lo spirito di Mitsuko come se fosse sua figlia, accettando di restare con lei per sempre, e scompare nell’ascensore insieme al fantasma. È un gesto di disperazione ma anche di amore, in cui la protagonista si sostituisce alla madre assente di Mitsuko, pur sapendo che questo significa perdere tutto. Anni dopo, Ikuko ormai adolescente torna al palazzo e rivede lo spirito della madre, intrappolata ma ancora amorevole: un ultimo sguardo che unisce il mondo dei vivi e dei morti con una tenerezza struggente.

Il finale di Acqua scura, lontano da una risoluzione liberatoria, si carica di un senso profondo di malinconia e sacrificio. Non c’è una vittoria contro il male, ma una scelta consapevole di protezione materna portata alle estreme conseguenze. La maternità, infatti, è il nucleo tematico del film: da un lato quella negata o assente, dall’altro quella assoluta, che diventa oblativa. Yoshimi, nel suo tentativo di essere una madre migliore di quella che lei stessa ha avuto e di salvare la figlia da un’infanzia traumatica, finisce per incarnare il ruolo salvifico anche per una bambina che non è sua, ma che ha bisogno disperatamente d’amore.

In questo senso, l’horror di Nakata si distingue per la sua dimensione profondamente umana. I fantasmi non sono semplicemente entità maligne, ma anime tormentate da traumi irrisolti. L’acqua – elemento onnipresente – non è solo un veicolo di paura, ma anche un simbolo di memoria e dolore sommerso, che risale alla superficie in cerca di riscatto. Il finale lascia lo spettatore con un senso di inquietudine, ma anche di compassione: la tragedia non può essere evitata, ma può essere compresa. E in quella comprensione, si cela la vera forza del film.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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