Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto: la spiegazione del finale del film

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Negli anni Settanta, il cinema italiano attraversava una stagione di straordinaria vitalità, in cui il racconto popolare si intrecciava con una forte tensione politica e sociale. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970) di Elio Petri si inserisce perfettamente in questo contesto, diventando uno dei titoli più emblematici del cosiddetto “cinema politico” italiano. L’opera affronta con sguardo lucido e satirico i meccanismi del potere e dell’autorità, mostrando come l’istituzione possa piegarsi all’arbitrio e all’abuso senza che nessuno osi metterne in discussione la legittimità. È un film che dialoga direttamente con le inquietudini di quegli anni, segnati da tensioni ideologiche e da un crescente conflitto tra cittadini e istituzioni.

All’interno della filmografia di Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto rappresenta un punto di svolta e insieme di consacrazione. Dopo titoli significativi come L’assassino (1961) e A ciascuno il suo (1967), il regista approda qui a un linguaggio cinematografico ancora più incisivo e personale, mescolando la tensione del poliziesco con l’allegoria politica. Grazie anche all’interpretazione monumentale di Gian Maria Volonté, Petri realizza un’opera che travalica i confini del genere, ponendosi come uno dei massimi esempi di cinema d’autore capace di coniugare intrattenimento e impegno civile.

Il successo del film fu immediato e internazionale: vinse il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e ottenne l’Oscar come miglior film straniero, portando il cinema italiano nuovamente al centro del dibattito culturale mondiale. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto si impose non solo come un capolavoro della stagione politica italiana, ma anche come un racconto universale sui meccanismi del potere, della colpa e dell’impunità. Nel prosieguo dell’articolo analizzeremo il finale del film, che racchiude e amplifica la forza simbolica della narrazione, offrendo una chiave di lettura essenziale per comprendere il messaggio ultimo dell’opera di Petri.

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto-Gian Maria Volonte
Gian Maria Volontè in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

La trama di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Il capo della Squadra Omicidi di Roma, soprannominato il “dottore” (Gian Maria Volonté), viene promosso per i suoi meriti a dirigente dell’Ufficio Politico della Questura. Proprio lo stesso giorno l’efficientissimo funzionario – che dietro una facciata solida ed irreprensibile, nasconde in realtà una personalità profondamente disturbata – uccide a sangue freddo, tagliandole la gola con una lametta, la sua amante Augusta Terzi (Florinda Bolkan) con la quale aveva un rapporto sadomasochista. A far scattare la furia omicida è l’atteggiamento della donna che lo derideva costantemente, lo invitava a narrarle particolari scabrosi riguardo le sue indagini e gli parlava di una sua relazione con un giovane rivoluzionario, lo studente anarchico Antonio, che vive nel suo stesso palazzo.

L’assassino decide però di fare tutto quanto sia possibile per ricondurre a sé l’omicidio lasciando impronte ovunque e, come se non bastasse, uscendo dall’appartamento, si fa notare proprio da Antonio: vuole dimostrare a se stesso, ai propri colleghi e ai suoi superiori che, in quanto rappresentante del potere, egli è al di sopra di ogni sospetto e di ogni possibile incriminazione. Le indagini intraprese dai suoi collaboratori, come egli aveva previsto, non lo sfiorano neppure. In seguito allo scoppio di una bomba nella centrale della polizia, vengono però fermati alcuni contestatori: tra questi c’è Antonio, che rivela al “dottore” di riconoscere in lui l’autore del delitto di Augusta.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, il “dottore”, ormai consumato da un delirio di onnipotenza e insieme dal desiderio di essere smascherato, decide di spingersi oltre. Dopo aver disseminato prove a proprio carico e aver manipolato le indagini, l’uomo consegna una lettera di confessione ai colleghi, convinto che il sistema dovrà finalmente fermarlo. È un gesto estremo, che unisce provocazione e volontà di autopunizione: l’assassino chiede, in sostanza, di essere giudicato e condannato, dimostrando però al tempo stesso come il potere, quando è nelle mani di chi lo incarna, possa neutralizzare perfino le prove più evidenti.

Il culmine della vicenda avviene nella sua casa, quando il protagonista, in attesa di essere ufficialmente arrestato, si addormenta e sogna un processo rovesciato. Nel sogno i colleghi e i superiori lo costringono non a dichiararsi colpevole, ma a firmare la confessione della propria innocenza, negando ogni indizio che lo incrimina. È una scena grottesca e surreale, che racchiude il senso più profondo del film: il potere non solo protegge se stesso, ma ribalta la realtà pur di salvaguardare la propria immagine. Al risveglio, l’uomo accoglie gli alti dirigenti di polizia nella sua abitazione: ciò che accade in seguito non viene mostrato, perché Petri decide di chiudere il film con un finale sospeso, lasciando lo spettatore davanti a un interrogativo senza risposta. Le tapparelle che si abbassano e la citazione kafkiana suggellano questa chiusura enigmatica e insieme definitiva.

Gian Maria Volontè e Vittorio Duse in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
Gian Maria Volontè e Vittorio Duse in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

La spiegazione del finale passa dunque attraverso la riflessione sul rapporto tra colpa individuale e sistema istituzionale. L’assassino non è solo un uomo che ha ucciso, ma l’incarnazione di un potere che si autoalimenta, che non ammette incrinature e che si sottrae al giudizio comune. Il suo desiderio di punizione viene frustrato perché la sua condanna significherebbe riconoscere la vulnerabilità dell’istituzione stessa. Petri mostra così l’assurdità di un meccanismo in cui il potere diventa un guscio impenetrabile: anche quando un uomo al suo interno vuole distruggerlo, la macchina lo protegge e lo riassorbe.

Allo spettatore resta l’immagine inquietante di una giustizia negata e di una verità che non può emergere. La confessione del protagonista non serve a liberarlo, ma diventa essa stessa uno strumento di autoinganno collettivo: l’innocenza viene imposta come dogma, indipendentemente dai fatti. È un finale che lascia volutamente irrisolto il destino del poliziotto, perché ciò che conta non è la sua sorte personale, ma l’allegoria di un sistema che annulla ogni possibilità di giustizia reale. L’eco kafkiana sottolinea proprio questo: chi appartiene alla legge non può essere giudicato dall’uomo comune, perché si colloca in una dimensione di intangibilità che lo rende, paradossalmente, immune da ogni colpa.

Il messaggio che Petri consegna attraverso il finale è di straordinaria potenza politica. Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto non racconta soltanto la vicenda di un omicidio e di un’indagine manipolata, ma denuncia un’intera struttura sociale in cui il potere istituzionale, anziché servire i cittadini, si autoassolve e si perpetua. Nel 1970 questo discorso era strettamente legato alle tensioni della società italiana, segnata da abusi, autoritarismi e conflitti politici, ma il film conserva una forza intatta anche oggi. La riflessione di Petri ci ricorda che in ogni epoca, quando il potere diventa incontrollabile, la giustizia rischia di trasformarsi in un teatro dell’assurdo, lasciando i cittadini in balia di un sistema che sfugge a ogni responsabilità reale.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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