Duro da uccidere: la spiegazione del finale del film

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Duro da uccidere, uscito nel 1990 e diretto da Bruce Malmuth, è uno dei film che hanno contribuito a consolidare l’immagine di Steven Seagal come icona del cinema d’azione degli anni ’90. Dopo l’esordio con Nico (1988), Seagal conferma qui la sua formula vincente fatta di arti marziali, vendetta personale e giustizia privata, proponendosi come un nuovo volto capace di competere con star già affermate come Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone. Il film diventa così un tassello importante nella sua filmografia, rafforzando la sua popolarità a livello internazionale.

Il genere a cui appartiene è quello del revenge movie d’azione, che negli anni ’80 e ’90 ha conosciuto una straordinaria fortuna. Duro da uccidere fonde gli elementi tipici del poliziesco con quelli del thriller, costruendo una storia incentrata su un uomo che, sopravvissuto a un attentato e dopo un lungo coma, torna a combattere per smascherare la corruzione e fare giustizia. Le sequenze di arti marziali, unite a un ritmo serrato e a un forte senso di determinazione del protagonista, esprimono bene i temi portanti del film: vendetta, corruzione politica e la lotta individuale contro un sistema marcio.

Il successo commerciale fu immediato: il film incassò oltre 47 milioni di dollari solo negli Stati Uniti, diventando uno dei maggiori trionfi al botteghino di Seagal e contribuendo a fissare il suo stile narrativo e la sua immagine da giustiziere inflessibile. La sua popolarità, unita alla formula diretta e priva di fronzoli, lo rese un cult per gli appassionati del genere. Nel resto dell’articolo analizzeremo più da vicino il finale di Duro da uccidere, spiegando come si conclude la vicenda di Mason Storm e quale significato si può attribuire alla chiusura del film.

Steven Seagal e Kelly LeBrock in Duro da uccidere
Steven Seagal e Kelly LeBrock in Duro da uccidere

La trama di Duro da uccidere

Mason Storm, un coraggioso e incorruttibile agente della polizia di Los Angeles, indaga sullo spregiudicato senatore Vernon Trent, il quale è deciso a liberarsi di lui mediante una sua fedele banda di killer, composta da criminali assoldati e poliziotti corrotti. Appostato a uno squallido incrocio di periferia, Mason riesce a filmare una riunione dell'”onorevole” con la sua banda e a registrarne un micidiale complotto politico che lo potrà smascherare. Questo suo mettersi contro Trent però gli scatenerà contro un’ondata di violenza e dolore. In casa, Mason viene selvaggiamente aggredito a raffiche di mitraglia dai sicari di Trent. Apparentemente, solo suo figlio si salva, mentre lui e la moglie vengono feriti a morte.

Portato all’ospedale e dichiarato morto dal medico di turno, Mason rimane invece in coma per ben sette anni, all’insaputa dell'”onorevole”. Quando – grazie sopra tutto alla costanza della bellissima infermiera Andy Stewart, che si è innamorata di lui, e non smette di parlargli e di interessarlo alla vita – Mason riprende inaspettatamente conoscenza, la notizia giunge all'”onorevole” e ai suoi sicari, che subito vengono incaricati di eliminarlo. Salvato da Andy, in uno spettacolare succedersi d’inseguimenti e sparatorie fra le corsie, i corridoi e gli ascensori dell’ospedale, Mason può dedicarsi, al sicuro, a una tenace terapia riabilitativa che lo metterà in rado di affrontare la banda e assicurare alla polizia l’abietto “onorevole”.

La spiegazione del suo finale

Nel terzo atto di Duro da uccidere, la vicenda entra nella sua fase più adrenalinica e risolutiva. Mason Storm, ormai ristabilito dopo anni di coma e addestramento forzato, affronta i nemici che lo hanno privato della famiglia e della vita. Dopo aver recuperato il nastro video con le prove della corruzione del senatore Trent, Mason deve fare i conti con gli uomini del politico e con i poliziotti corrotti che anni prima avevano tentato di ucciderlo. Lo scontro culmina nella tragica morte di O’Malley, l’amico fidato che lo aveva protetto, e in una prima resa dei conti che consente a Mason di riabbracciare finalmente il figlio Sonny. La lotta diventa quindi non solo una missione di vendetta, ma anche una riconquista personale e affettiva.

La conclusione del film si consuma all’interno della lussuosa villa del senatore Trent, dove Mason elimina uno a uno i responsabili della congiura: Jack Axel, il sicario che aveva massacrato la sua famiglia, e il capitano Hulland, simbolo del tradimento all’interno delle forze dell’ordine. Ogni scontro diventa un atto di giustizia personale, fino al faccia a faccia finale con Trent. Mason lo mette con le spalle al muro, ma l’arrivo della polizia ribalta la situazione: gli agenti, già in possesso delle prove video, arrestano il senatore. La vicenda si chiude così con il protagonista finalmente riunito a Sonny e ad Andy, mentre la verità sulla corruzione viene svelata pubblicamente.

Steven Seagal in Duro da uccidere
Steven Seagal in Duro da uccidere

Il finale, carico di azione e vendetta, riflette perfettamente la struttura del revenge movie: Mason Storm non si limita a sopravvivere, ma riafferma la propria integrità contro un sistema politico e giudiziario corrotto. Ogni eliminazione ha un peso simbolico: non è soltanto violenza spettacolare, ma la restituzione di un ordine morale infranto all’inizio del racconto. La scelta di non uccidere direttamente il senatore Trent, ma di lasciarlo nelle mani della giustizia, rappresenta un passaggio cruciale: il giustiziere solitario si ferma un passo prima di diventare egli stesso un criminale.

Da spettatori, questo finale ci lascia un duplice effetto: da un lato la soddisfazione viscerale tipica del cinema d’azione anni ’90, con il protagonista che ottiene vendetta in modo spettacolare; dall’altro una riflessione più ampia sulla corruzione delle istituzioni e sulla difficoltà di distinguere tra giustizia legale e giustizia personale. La storia di Mason diventa così esemplare: un uomo spinto al limite che trova nel dolore e nella perdita la forza per opporsi a un potere più grande di lui.

Cosa ci lascia Duro da uccidere

Il messaggio che Duro da uccidere ci consegna è dunque chiaro: la corruzione e il tradimento possono piegare anche le strutture più solide, ma non possono annientare la volontà di chi lotta per la verità. Al di là della sua veste spettacolare, il film si colloca in quella tradizione di action movie che offrono allo spettatore non solo evasione, ma anche una forma di catarsi morale, in cui il bene – pur attraverso la violenza – riesce a prevalere sul male.

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Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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