Il film Wolfman (qui la recensione) del 2010, con Benicio del Toro nei panni di Lawrence Talbot, si inserisce nella lunga tradizione dei film sul licantropo, riprendendo e rielaborando i canoni classici del genere horror gotico. Ambientato in un’Inghilterra vittoriana nebbiosa e oppressiva, il film richiama le atmosfere cupe e teatrali dei celebri classici della Universal degli anni ’30 e ’40, come L’uomo lupo del 1941, ma cerca di rinnovare la narrazione attraverso un approccio più realistico e psicologicamente complesso. La figura del licantropo, qui, non è solo un mostro da temere, ma anche un simbolo del dolore, della colpa e dell’eredità familiare, elementi che conferiscono maggiore profondità alla storia.
Rispetto alle versioni precedenti, Wolfman introduce diverse novità sia sul piano visivo che narrativo. La trasformazione del protagonista in licantropo è resa con effetti speciali moderni, combinando makeup prostetico e CGI, per creare sequenze più dinamiche e impressionanti rispetto agli effetti analogici dei film del passato. La sceneggiatura, inoltre, approfondisce la storia personale di Lawrence Talbot, il suo trauma infantile e il rapporto conflittuale con il padre, offrendo una dimensione emotiva più intensa rispetto ai licantropi classici, che spesso erano rappresentati come figure più archetipiche e meno psicologicamente complesse. L’ambientazione, volutamente cupa e piovosa, contribuisce a creare un tono gotico e realistico che distingue questa versione da altre moderne reinterpretazioni del mito.
All’uscita nelle sale, il film ha ricevuto un’accoglienza critica mista, con elogi rivolti principalmente all’interpretazione intensa di Benicio del Toro e alla qualità della produzione, mentre alcune critiche hanno riguardato la sceneggiatura e il ritmo narrativo, giudicati talvolta prevedibili. Nonostante ciò, Wolfman ha consolidato la tradizione dei film sul licantropo introducendo nuovi elementi di dramma e introspezione psicologica, cercando di attirare sia i fan del genere classico sia il pubblico contemporaneo. Nel resto dell’articolo si approfondirà il finale ambiguo del film, analizzando le sue implicazioni e spiegando come esso influenzi la percezione del destino del protagonista e il messaggio complessivo della pellicola.
La trama di Wolfman
Ambientato nell’Inghilterra del 1891, il film ha per protagonista Lawrence Talbot, attore teatrale, che torna nella sua casa natìa in seguito alla scomparsa di suo fratello Ben. Qui viene accolto dall’anziano padre John e da Gwen, la fidanzata del defunto. La morte di questi si presenta da subito come particolarmente controversa e misteriosa, poiché ad averlo ucciso sarebbe stata una bestia dalle dimensioni particolarmente imponenti. Deciso ad indagare sulla cosa, Lawrence inizia a ricostruire quanto può essere accaduto nelle ultime ore di vita del fratello. Così facendo, scopre di leggende che sembrano non essere poi tanto irrealistiche.
Secondo la gente del luogo, infatti, la zona è minacciata da un lupo mannaro, che strazia i corpi di quanti gli capitano a tiro durante le notti di luna piena. Per tentare di abbattere la bestia viene ingaggiato anche l’ispettore Aberline, il quale dà vita ad una spietata caccia al mostro. Lawrence cerca di tenersi lontano da tutto ciò, proseguendo la sua ricerca, che lo porterà a scontrarsi con segreti tanto antichi quanto pericolosi. Prima che la luna piena torni a splendere nel cielo e la bestia si scateni di nuovo, Lawrence e quanti vicino a lui dovranno essere pronti a difendersi come possibile.
La spiegazione del finale del film
Nel terzo atto di Wolfman, la tensione raggiunge il culmine mentre Lawrence Talbot, ormai trasformato in licantropo, si trova intrappolato in una spirale di violenza e caos. Dopo aver scoperto la verità sul padre e sul proprio destino, Lawrence fugge nel bosco durante una notte di luna piena, uccidendo cacciatori e seminando il panico tra gli abitanti. La città è in subbuglio e la sua stessa famiglia è minacciata, mentre il poliziotto Aberline tenta invano di contenere la furia del mostro. Lawrence, lacerato tra la sua umanità e la maledizione che lo domina, diventa il fulcro della distruzione imminente, mostrando la tragedia della sua condizione senza possibilità di redenzione immediata.
La narrazione del film si risolve con la resa dei conti tra Lawrence e suo padre Sir John all’interno di Talbot Hall, trasformando la tragedia familiare in un confronto violento tra licantropi. Durante la lotta, Sir John viene decapitato da Lawrence, ma la furia del licantropo non si placa: attacca Aberline e mette a rischio Gwen, la donna che ama. La scena culmina nel drammatico scontro sulla gola del dirupo, in cui Gwen, con grande coraggio, riesce a sparare a Lawrence, liberandolo dalla maledizione. Il film si chiude con Lawrence che, tornando umano, ringrazia Gwen prima di morire, mentre Aberline osserva terrorizzato la luna piena, simbolo perpetuo del ciclo di violenza.
Il finale del film, pur risolvendo la vicenda principale, mantiene un forte senso di ambiguità e tragedia. Lawrence muore, ma il potere della luna piena e la maledizione della licantropia rimangono elementi che suggeriscono che la violenza potrebbe ripetersi. La lotta tra umanità e mostruosità è rappresentata come un conflitto interiore eterno, e la presenza del poliziotto Aberline alla fine indica che il mondo esterno resta in pericolo, incapace di contenere appieno il ciclo della maledizione. Questo finale apre una riflessione sulla natura della colpa, dell’ereditarietà e delle conseguenze inevitabili delle azioni del passato.
La spiegazione del finale evidenzia come Wolfman utilizzi la trasformazione in licantropo non solo come elemento di horror visivo, ma come metafora del conflitto umano e familiare. La maledizione, trasmessa dal padre a Lawrence, diventa simbolo della ciclicità della violenza e della difficoltà di sfuggire ai traumi ereditati. La morte di Lawrence per mano di Gwen rappresenta una liberazione sia fisica che morale, poiché pone fine al suo tormento e alla minaccia immediata. Tuttavia, il film lascia intendere che l’incontrollabile natura del mostro non può essere completamente sradicata, sottolineando la tragicità della condizione di Talbot.
Il messaggio che il film lascia allo spettatore è duplice: da un lato, la storia esplora la lotta interiore tra i propri impulsi distruttivi e la volontà di umanità; dall’altro, mette in guardia sul peso dell’eredità familiare e sui traumi irrisolti che possono condizionare le vite successive. La tragedia di Lawrence Talbot è quella di un uomo che non può sfuggire al proprio destino, e la sua morte simboleggia sia la fine della maledizione immediata sia l’impossibilità di eliminare completamente il male che risiede nell’essere umano. Il finale, seppur drammatico, invita a riflettere sul prezzo del potere, della vendetta e della redenzione.