Elle (qui la recensione) segna un capitolo audace e controverso nella filmografia di Paul Verhoeven, noto per il suo cinema provocatorio e capace di esplorare i lati oscuri della natura umana. Il film si inserisce nel filone dei thriller psicologici contemporanei, caratterizzati da tensione costante, ambiguità morale e dinamiche di potere complesse. Con Elle, Verhoeven abbandona temporaneamente le atmosfere fantascientifiche e satiriche di film come Starship Troopers o RoboCop per concentrarsi su una vicenda intimamente personale e disturbante, mantenendo però il suo tipico sguardo impietoso e ironico sulla società.
Il cuore del film è il personaggio di Michèle, interpretata da Isabelle Huppert, donna complessa, intelligente e manipolatrice, che affronta un’aggressione sessuale senza cadere nei cliché della vittima traumatizzata. Il racconto intreccia temi delicati come la vendetta, il controllo e l’identità, spingendo lo spettatore a interrogarsi sui confini della moralità e della giustizia personale. La narrazione oscilla tra tensione e ironia, mettendo in luce le contraddizioni dei rapporti umani e delle dinamiche di potere, senza mai offrire risposte facili o consolatorie.
Il film ha riscosso grande successo di critica e pubblico, grazie alla potente interpretazione di Huppert, che le è valsa numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui nomination agli Oscar e premi ai Golden Globes. Elle si distingue inoltre per la sua capacità di sorprendere e provocare, imponendosi come una delle opere più complesse e discusse di Verhoeven. Nel resto dell’articolo si approfondirà il finale del film, analizzandone il significato e le implicazioni per la comprensione dei temi centrali e della psicologia dei personaggi.
La trama di Elle
Il film segue le vicende di Michèle (Isabelle Huppert), capo di una grande società di videogiochi, gestisce la propria vita con grande controllo. La sua esistenza viene però stravolta quando viene aggredita e violentata in casa da un misterioso sconosciuto. Michèle, che non si fida dei media e dei giornalisti, decide di non sporgere denuncia e di occuparsi in prima persona delle indagini per risalire all’identità dell’aggressore. Ben presto la ricerca si fa ossessiva, culminando con la scoperta che tanto desiderava fare. A quel punto, però, tra Michèle e l’aggressore viene a crearsi un gioco molto strano, basato su un meccanismo curioso e pericoloso che potrebbe sfuggire loro di mano in qualunque momento con conseguenze devastanti per entrambi.
La spiegazione del finale e il suo significato
Nel terzo atto di Elle, Michèle affronta direttamente Patrick, il suo aggressore, rivelandone l’identità dopo un’aggressione domestica che finalmente scioglie l’enigma dello stalking e della molestia subita. La scena mostra Michèle non come vittima impotente, ma come donna che mantiene il controllo della situazione, reagendo con freddezza e astuzia. Dopo averlo ferito e disarmato, Michèle non ricorre alle forze dell’ordine, scelta che sottolinea il suo approccio autonomo e la volontà di gestire il pericolo secondo le proprie regole. La narrazione si concentra così sulle dinamiche di potere tra i due, con Michèle che oscilla tra paura e dominio psicologico.
Il racconto prosegue con la visita di Michèle al padre, il cui suicidio dopo il rifiuto della libertà condizionale aggiunge un ulteriore strato di drammaticità e riflessione sulla violenza ereditata e sulle conseguenze dei traumi familiari. Subito dopo, l’incidente stradale e l’incontro successivo con Patrick segnano l’inizio di un rapporto perverso e consensuale tra i due, basato su ruoli di aggressore e vittima deliberatamente giocati. La sequenza culmina nella festa di lancio del videogioco, dove Michèle affronta nuovamente Patrick in una scena ambigua tra violenza e consenso, con l’intervento provvidenziale del figlio Vincent che neutralizza Patrick, chiudendo la vicenda con un senso di ordine restaurato.
Il finale di Elle si presta a molteplici letture e riflette l’abilità di Verhoeven nel giocare con la morale e l’ambiguità psicologica. Michèle non si limita a sconfiggere Patrick fisicamente, ma assume il controllo della narrazione della propria vita, stabilendo i limiti delle relazioni che accetta e decidendo consapevolmente di affrontare le proprie paure e desideri. Il fatto che la protagonista non chiami la polizia né cerchi giustizia istituzionale suggerisce una critica implicita ai sistemi tradizionali di protezione e punizione, enfatizzando invece l’autonomia e la complessità del comportamento umano in situazioni estreme.
Questa conclusione permette di esplorare i temi più profondi del film: la violenza, il potere, il desiderio e la vendetta psicologica. Michèle si riconcilia con se stessa e con gli altri personaggi, come il figlio Vincent e la collega Anna, dimostrando che la vera forza risiede nella capacità di affrontare le proprie contraddizioni interiori. Il rapporto con Patrick, sebbene inquietante, mette in evidenza la complessità delle relazioni umane e la linea sottile tra dominio, consenso e manipolazione, elementi centrali nella riflessione di Verhoeven sulla natura umana.
Il messaggio che Elle lascia agli spettatori è inquietante ma illuminante: la vita non offre sempre risposte nette o giustizia chiara, e la sopravvivenza emotiva spesso richiede strategie non convenzionali. Michèle rappresenta una figura di empowerment controverso, che naviga tra trauma e controllo, mostrando come il dolore e l’esperienza possano trasformarsi in strumenti di resilienza e autodeterminazione. Il film suggerisce che la complessità della moralità e delle relazioni personali è inevitabile e che la liberazione può assumere forme imprevedibili, sfidando le convenzioni del thriller tradizionale.