La Sposa in Nero: recensione del film di François Truffaut

La Sposa in Nero

La sposa in nero è un thriller del 1968 diretto dal regista francese François Truffaut, qui in un’insolita versione alla Hitchcock, poiché traspone un romanzo giallo di William Irish (all’anagrafe Cornell Woolrich), “The Bride Wore Black” (1948), riadattato per il grande schermo dallo sceneggiatore Jean-Louis Richard.

 

Come noto, nella sua carriera Truffaut si è dedicato soprattutto alla Commedia e al genere Drammatico, eppure è riuscito in maniera egregia anche cimentandosi in un genere per lui insolito. Non resterà comunque l’unico film atipico per lo stile del regista, il quale concluderà la sua lunga filmografia proprio con un giallo, Finalmente domenica!, anch’esso trasposizione di un romanzo.

La sposa in nero, la trama

Una giovane donna chiusa nella sua stanza guarda nervosamente l’album delle sue fotografie per poi gettarlo via e tentare il suicidio lanciandosi da una finestra, ma sua madre accorre in tempo chiamandola per nome: Julie.

Nella scena successiva la donna parte per un viaggio, mettendo in valigia i suoi vestiti ed una somma cospicua di franchi; la madre insiste perché prenda altri soldi, per poi chiederle se è decisa nel suo intento. La risposta è ovviamente sì.

Julie, donna tanto affascinante quanto fatale, innesca così una serie di omicidi, seducendo alcuni uomini per poi ucciderli. Le motivazioni alla base del suo agire si svelano agli occhi dello spettatore poco a poco, con atroce lentezza.

La sposa in nero, il film

Girato a Cannes, Parigi e Grenoble dal 16 maggio al 10 novembre 1967, fu proiettato per la prima volta in pubblico il 7 aprile 1968. Oltre al genere, l’assonanza col maestro britannico del giallo deriva anche dalla colonna sonora curata da Bernard Herrmann, storico collaboratore di Hitchcock, la cui notorietà è arrivata però grazie alla colonna sonora di Taxi driver. La sposa in nero può essere considerato un antenato di Kill Bill di Quentin Tarantino, anche se non è mai circolata una dichiarazione ufficiale in tal senso, il regista americano molto probabilmente si è ispirato al film di Truffaut per il suo moderno capolavoro. Infatti la loro trama è molto simile: una giovane donna viene privata del marito il giorno delle nozze, e decide di vendicarsi annotando i nomi degli aguzzini, uccidendoli a uno a uno. Se nel film di Tarantino l’omicidio è frutto di un’atroce vendetta, ne La sposa in nero la morte del consorte è accidentale; ma ciò non riduce minimamente la sete di vendetta della sposa.

Ogni omicidio viene preparato con arguta lentezza dalla seducente Julie; quest’ultima, da audace Vedova nera, vuole prima conoscere le sue vittime, per poi sedurle e infine ammazzarle. Ogni assassinio, nella sua perfezione, sembra una macabra opera d’arte inquietante e forse non a caso, una delle sue vittime gli dipinge segretamente anche un quadro, per una sorta di sfogo artistico delle sue più intime tentazioni ispirate alla bella donna presentatasi a lui come modella. Man mano che il progetto diabolico della vedova infelice va avanti e si compie, le ragioni che lo muovono si svelano con sapiente lentezza allo spettatore; omicidio dopo omicidio quest’ultimo ne comprende i motivi, forse li giustifica, quasi fa il tifo per la diabolica Sposa in nero.

Per quanto riguarda il ricco cast, giusto annoverare il nome dell’affascinante Jeanne Moreau nei panni di Julie Kohler; Jean-Claude Brialy nei panni della prima sua vittima, il gigolò Corey; Michael Lonsdale nei panni dell’arrogante politico René Morane; e quelli di due attori spesso scelti da Truffaut per i suoi film: Michel Bouquet e Charles Denner nelle vesti rispettivamente di Coral e del solitario pittore prima menzionato.

Infine, una curiosità che riguarda il nostro Paese. Il film fu trasmesso per la prima volta dalla televisione italiana nella primavera del 1977. A quanto pare, in quell’anno la Rai volle dedicarsi ai film trattanti omicidi seriali, poiché nell’autunno dello stesso anno, trasmise la miniserie francese Appuntamento in nero, ispirato ad un altro soggetto di Woolrich scritto nel 1948. Qui l’assassino seriale è un giovane (Didier Haudepin) che con cadenza annuale vendica la sua fidanzata Catherine, anch’ella vittima di una bravata, “punendo” gli autori con l’assassinio delle rispettive mogli o amanti. Nulla a che vedere, ovviamente, con l’arte cinematografica di François Truffaut.

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