Il Gattopardo, recensione della serie Netflix con Kim Rossi Stuart

I sei episodi della mini serie evento sono disponibili su Netflix.

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La storia de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa rivive sul piccolo schermo grazie alla nuova serie Netflix, disponibile dal 5 marzo 2025. A oltre sessant’anni dalla storica e sublime trasposizione cinematografica di Luchino Visconti, la produzione italo-britannica diretta da Tom Shankland, Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti si misura con un capolavoro della letteratura e del cinema italiano. Il cast, guidato dal carismatico Kim Rossi Stuart nel ruolo del principe Fabrizio di Salina, vede protagonisti i volti del giovanissimo cinema italiano Saul Nanni (Tancredi), Deva Cassel (Angelica), Benedetta Porcaroli (Concetta) e la partecipazione di Paolo Calabresi nel ruolo di padre Pirrone.

 

L’impresa non è semplice: il testo originale è un romanzo storico, ma anche un affresco della Sicilia e dell’Italia intera nel delicato passaggio dall’Ancien Régime al nuovo ordine post-unitario, con un racconto che intreccia politica, società e sentimenti in una riflessione profonda sui cambiamenti storici e sul concetto di potere. Da questo punto di partenza, il progetto certamente ambizioso aveva un grande potenziale, ma il risultato finale lascia l’amaro in bocca.

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Un confronto impossibile con Il Gattopardo di Visconti

Il Gattopardo
Il Gattopardo – Credits: Netflix/Lucia Iuorio

Chiunque affronti Il Gattopardo sullo schermo deve inevitabilmente confrontarsi con la titanica versione di Visconti, con le sue immagini sontuose, la ricostruzione storica impeccabile e interpretazioni che hanno segnato la storia del cinema. Il confronto, ovviamente, è impari. Se invece si fa lo sforzo di aggirare il confronto con il capolavoro del ’63, questa nuova versione appare un’opera dignitosa, soprattutto dal punto di vista della cura nei dettagli della messa in scena, dei costumi in particolare modo e dell’interpretazione di Kim Rossi Stuart al cui fascino è difficile rimanere indifferenti: il suo principe di Salina ha tutta la gravitas di cui il personaggio necessita, compresa una modernità nello sguardo che lo traghetta nell’oggi con credibilità.

Intorno al protagonista, si muovono i tre giovani rampolli attorno ai quali ruota la parte principale del racconto. Saul Nanni dà il volto a Tancredi; non ha nulla da invidiare all’estetica del suo illustre predecessore Alain Delon, se non un pizzico di talento e una presenza scenica più adulta e grave che forse arriverà con l’esperienza. Alla piccola diva per diritto di nascita, Deva Cassel, invece spetta il ruolo della bella Angelica e certamente l’attrice sostiene adeguatamente il ruolo che fu di Claudia Cardinale, anche se la scrittura trasforma la vitale e esuberante Sedara in una femme fatale dotata di consapevolezza, ambizione e disincanto, spogliando il ruolo della poesia quasi adolescenziale che il corrispettivo cinematografico portava con sé. Discorso diverso invece va fatto per la Concetta di Benedetta Porcaroli. La migliore del cast di giovani, Porcaroli si trova a essere il vettore principale della storia, il punto di vista (progressista e femminista) da cui ci viene concesso di seguire la storia; e la riscrittura del suo personaggio è l’unico momento di modernità e vicinanza che viene concesso allo spettatore moderno, certamente ormai lontano dal punto di vista del mondo dei nobili in declino che venivano raccontato nel romanzo originale e che nel film di Visconti assumevano una dimensione esistenziale, oltre a un sentimento politico molto più evidente e sentito.

Il Gattopardo
Benedetta Porcaroli ne Il Gattopardo – Credits: Netflix/Lucia Iuorio

Completano il cast Francesco Colella e Francesco Di Leva, come sempre estremamente efficaci e credibili in ognuna delle loro interpretazioni, siano esse da protagonisti o da spalle. In particolare l’arrivista Sedara di Colella è un personaggio a prima vista sgradevole che però non evita una crisi dello spettatore, dimostrandosi molto più vicino e riconducibile al sentire contemporaneo che promuove l’impegno e l’ambizione come strumenti per la scalata sociale, non certo un diritto divino dato alla nascita (posizione inamovibile del Principe di Salina).

Una modernizzazione maldestra del classico

Il principale difetto de Il Gattopardo in versione Netflix è la sua ri-lettura in chiave moderna. Nonostante il formato seriale consenta di approfondire i personaggi e le dinamiche storiche, la serie fatica a sviluppare un racconto coeso e avvincente. Il ritmo è incerto, e le scelte narrative privilegiano la componente sentimentale a scapito della profondità storica e politica del romanzo, con degli episodi molto buoni nella parte centrale e un finale piatto, che perde il tempo di climax del racconto.

Il vero punto di forza del romanzo e del film è il tema del cambiamento storico e della lotta tra vecchio e nuovo, incarnato nella celebre frase: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». Questo concetto, centrale nell’opera originale e per Visconti, viene relegato in secondo piano nella serie, a una ripetizione della storica citazione, mentre si preferisce concentrarsi su dinamiche romantiche e individuali, sacrificando la portata politica e sociale della storia, probabilmente perché in un contesto politico e sociale governato dalla sfiducia nel futuro è difficile assumere una posizione che possa essere anche solo vagamente sfidante.

Il Gattopardo
Deva Cassel ne Il Gattopardo – Credits: Netflix/Lucia Iuorio

Sicilia, dove sei?

La Sicilia, barocca e struggente dall’atmosfera decadente, è un elemento chiave del romanzo e del film, e in parte riesce a ritagliarsi un suo spazio anche in questa produzione, sfociando a volte troppo nella “promozione del territorio” e meno in quel personaggio ingombrante ma profondamente amato dei predecessori. Qui, invece, la sua presenza è marginale, ridotta a scenari di sfondo e mai realmente approfondita nelle sue sfumature culturali, storiche e linguistiche. Anche la componente dialettale, che avrebbe potuto dare maggiore autenticità ai dialoghi, è quasi del tutto assente.

Netflix aveva tra le mani un materiale straordinario, ma ha scelto di trasformarlo in un dramma romantico patinato, dimostrandosi non in grado di gestire la complessità e la ricchezza della storia originale. La serie rimane comunque un prodotto fruibile, grazie a una buona produzione e ad alcune interpretazioni solide, ma non riesce a essere incisiva.

Il Gattopardo
Kim Rossi Stuart e Saul Nanni ne Il Gattopardo – Credits: Netflix/Lucia Iuorio
Il Gattopardo
2.5

Sommario

La serie non si è rivelata in grado di gestire la complessità e la ricchezza della storia originale. Rimane comunque un prodotto fruibile, grazie a una buona produzione e ad alcune interpretazioni solide, ma non riesce a essere incisiva.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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