Sweet Home: recensione della stagione finale del drama Netflix

L'ultima stagione di Sweet Home si chiude con un finale sorprendente... ma a quale prezzo per la serie?

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È tempo di saluti. Dopo il grande ritorno a dicembre con il tanto discusso secondo capitolo, l’iconico e popolare drama horror sudcoreano di Netflix Sweet Home (in hangeul 스위트홈) volge al termine con la sua terza stagione. Creata da Hong So-ri, Kim Hyung-min e Park So-jeong, la serie è basata sull’omonimo webtoon del 2017, scritto da Kim Carnby e illustrato da Hwang Young-chan.

 

Sweet Home segue la spaventosa e tragica storia di un gruppo di sopravvissuti in un mondo post-apocalittico invaso da terribili mostri che si nutrono di umani. Se la prima stagione ha conquistato il pubblico grazie alla sua trama avvincente, all’atmosfera inquietante e ai personaggi ben caratterizzati, la seconda ha visto un calo di entusiasmo e aspettative. La terza stagione è riuscita a risollevare le sorti di questo amato horror fumettistico?

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Sweet Home 3 | Cr. Kim Jeong WonNetflix © 2024

Sweet Home: dove eravamo rimasti

Nella seconda stagione (qui la recensione), il gruppo di superstiti della Green Home è costretto ad abbandonare il proprio rifugio, ormai distrutto e pericoloso, per raggiungere lo stadio sorvegliato dal Crow Platoon, la nuova destinazione dove il governo ha riunito i pochi civili sopravvissuti all’epidemia. Seo Yi-kyung (Lee Si-young), che nella prima stagione scopre di essere incinta, in Sweet Home 2 dà alla luce una bambina (Kim Si-a) che, infetta fin dalla nascita, possiede enormi poteri, come quello di trasformare rapidamente gli umani in mostri e suoi seguaci. Nel frattempo, Hyun-su (Song Kang) viene catturato da Jung Ui-myeong, un potente mostro liquido che ha preso il controllo del corpo di Pyeon Sang-wook (Lee Jin-wook), e sottoposto ai numerosi e dolorosi esperimenti del Dr. Lim (Oh Jung-se).

Quest’ultimo, che considera gli umani una malattia e i mostri l’unica cura possibile, intende infatti studiare e analizzare i mostri-umani attraverso Hyun-su e la sua incomprensibile forza. Nonostante il tempo che il Dr. Lim dedica alla ricerca, i mostri continuano a essere però imprevedibili. Solo verso la fine del secondo capitolo scopre che le spaventose creature iniziano a evolversi, passando da mostri-umani a neo-umani, esseri misteriosi privi di qualsiasi emozione e sensibilità.

Sweet Home 3 | In foto l’attrice Ko Min-si nei panni di Lee Eun-yu. Cr. Kim Jeong Won/Netflix © 2024

L’evoluzione di Sweet Home

Proprio come i suoi mostri, episodio dopo episodio, l’angosciante serie targata Netflix Corea del Sud si è evoluta sorprendentemente. La seconda stagione, infatti, ha segnato una netta differenza rispetto alla prima: mentre inizialmente il pubblico si è appassionato alla spaventosa storia dei condomini della Green Home, affezionandosi soprattutto ai suoi protagonisti, tra cui l’introverso e strambo Hyun-su, nella seconda stagione è stato costretto ad abbandonare quell’ambientazione familiare e disastrata per volgere lo sguardo al mondo esterno.

In Sweet Home 2, tutto è stato amplificato ai massimi livelli: la tensione, l’azione e i pericoli sono aumentati esponenzialmente, generando una sorta di confusione e disagio nello spettatore, che ha quasi trovato difficoltà a riconoscere gli stessi personaggi. Questi ultimi, infatti, sono stati sempre più messi da parte per far spazio a nuove personalità e dinamiche, che hanno contribuito a rendere la trama ancora più complessa e imprevedibile. Proprio a causa della profonda contraddizione tra la prima e la seconda parte, il pubblico era estremamente curioso di scoprire come i creatori potessero giungere a una conclusione coerente e soddisfacente nella terza stagione.

Il capitolo conclusivo di Sweet Home tenta dunque di miscelare e riconciliare gli elementi caratteristici delle prime due stagioni. La trama, per esempio, si destreggia tra due ambientazioni differenti: uno spazio interno (tipico della stagione 1), che corrisponde a ciò che accade nello stadio, e uno spazio esterno (come nella stagione 2), che mostra le vicende nelle strade di una città ormai annientata dall’epidemia. A queste si aggiunge poi un terzo spazio, più profondo, astratto e intimo, rappresentato dalle scene di lotta interiore tra il virus e ciò che resta dell’animo umano. Tra l’angosciante claustrofobia degli spazi chiusi, il caos incontrollato del mondo esterno e le intense battaglie psicologiche dei personaggi, si può quindi parlare di una triplice ambientazione che si impegna a ristabilire un equilibrio delle diverse atmosfere e tematiche sviluppate nelle stagioni precedenti.

Sweet Home 3 | In foto (da sinistra a destra) gli attori Lee Do-hyun, Ko Min-si, Song Kang. Cr. Kim Jeong Won/Netflix © 2024

Un finale che lascia l’amaro in bocca

Nonostante il tentativo di riportare sullo schermo gli amati volti noti della prima stagione, tra cui l’iconico trio Hyun-su, Eun-yu ed Eun-hyuk, e la coraggiosa Lee Si-young, la terza stagione di Sweet Home non riesce a chiudere degnamente il cerchio. Sebbene presenti adrenaliniche scene d’azione, una grafica migliorata e un accattivante tono fumettistico (probabilmente l’unico elemento coerente dell’intera serie), Sweet Home sembra aver subito un processo di snaturalizzazione che ha rotto profondamente gli schemi della prima stagione, facendo quindi apparire il secondo e il terzo capitolo più come spin-off che come continuazioni dirette del primo.

Pur terminando la storia nello stesso luogo in cui è iniziata, nella curiosa e non più rumorosa Green Home, la “casa dolce casa” a cui allude il titolo del drama, il finale lascia senza dubbio il pubblico con l’amaro in bocca. Il messaggio di una “seconda possibilità” data dalla nuova razza umana ibrida non riesce a compensare la sensazione di un grande potenziale sprecato da una trama troppo vasta e ambiziosa. La coerenza narrativa è venuta meno, e il legame emotivo con i personaggi, seppur mantenuto grazie alla presenza dei protagonisti sopravvissuti, non è sufficiente a riscattare una stagione che manca di quella profondità e quella tensione che avevano reso la prima parte così coinvolgente.

In definitiva, Sweet Home 3, nonostante i suoi spunti interessanti e l’impegno nel riprendere elementi iconici, si perde in un eccesso di ambizione che sacrifica la coerenza e la continuità necessarie per un finale davvero meritevole.

Sommario

Pur riportando i volti noti della prima stagione e introducendo più azione e una grafica migliorata, la terza stagione di Sweet Home si perde in una trama eccessivamente ambiziosa, risultando più come uno spin-off che una conclusione soddisfacente, lasciando il pubblico con l’amaro in bocca.
Annarita Farias
Annarita Farias
Nata nel 1996, laureata in Lingue, Culture e Letterature Moderne Europee presso l'Università Federico II di Napoli e attualmente laureanda in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale all'Università di Roma Tre, dove approfondisce la settima arte per scrivere di critica cinematografica con maggiore consapevolezza e passione. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti della Campania come giornalista pubblicista dal 2022, ha collaborato per due anni con la testata online Ambasciator.it e attualmente scrive di cinema per Cinefilos.it e Scuola Consulting.

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Pur riportando i volti noti della prima stagione e introducendo più azione e una grafica migliorata, la terza stagione di Sweet Home si perde in una trama eccessivamente ambiziosa, risultando più come uno spin-off che una conclusione soddisfacente, lasciando il pubblico con l’amaro in bocca.Sweet Home: recensione della stagione finale del drama Netflix