The Curse: recensione della serie con Emma Stone

The Curse recensione

La declinazione dell’idea di “assurdo” applicata alla produzione audiovisiva possiede la proprietà intrinseca di poter abbracciare toni differenti, e di conseguenza anche generi. In particolar modo la commedia e l’horror. Il progetto di serie creata da Nathan Fielder e Benny Safdie riesce con freschezza ammirevole e uno sguardo innovativo – almeno per la produzione seriale – a contaminare ogni puntata con entrambe le influenze, perché se fin dall’inizio risulta evidente che The Curse è una commedia, in maniera altrettanto precisa possiede molte coordinate stilistiche dell’horror psicologico.

 

The Curse, la trama

Partiamo con la trama principale: Asher Siegel (Nathan Fiedler) e sua moglie Whitney (Emma Stone) sono impegnati nel combattere il processo di gentrificazione e la speculazione edilizia in una delle zone maggiormente povere del New Mexico. Il filmmaker Dougie (Benny Safdie) li ha convinti che realizzare una docuserie sul loro impegno sociale porterà loro la notorietà necessaria per portare avanti la loro crociata sociale. Le riprese si dimostrano invece piú complesse del previsto, rivelando invece le crepe nascoste non soltanto nel progetto della coppia ma anche nella loro relazione.

The Curse possiede la freschezza e il coraggio di uno show nato dalla mente di un gruppo di artisti che lo hanno pensato in assoluta libertà, senza minimamente preoccuparsi di remare contro l’ipocrisia e il bigottismo dell’odierna società americana. Il risultato si presenta come un qualcosa che, mentre offre la possibilità di sorridere o ridere delle piccole grandi falsità di oggi, sotto la superficie colpisce duro e non perdona affatto il nostro presente.

Un divertimento che fa mettere in discussione lo spettatore

Fin dal fragoroso episodio pilota veniamo messi infatti di fronte a momenti di grande comicità che in sostanza dovrebbero provocare tutt’altra reazione che la risata fragorosa, eppure non possiamo farne a meno. Ma il divertimento con The Curse arriva con un prezzo, quello di sentirsi poi messi in discussione, poiché l’ipocrisia, le bassezze e i piccolo sotterfugi dei  tre personaggi principali sono anche quelli che noi fin troppo spesso adoperiamo nella vita reale, gli stessi che “lasciamo passare” in nome di una tranquillità di superficie che sovente flirta con la meschinità. È questo che la serie punta a smascherare, a deridere, facendolo con una progressione narrativa particolare, la quale possiede delle regole interne che non sono quelle della moderna scrittura televisiva – soprattutto nel ritmo del racconto – ma consentono di irretire lo spettatore in un universo tanto vanesio quanto seriamente asfissiante.

La sequenza che chiude il terzo episodio rappresenta ad esempio lo smascheramento prima ilare poi sempre più deprimente di quanto la nostra vita sia ormai improntata verso l’apparenza, verso quello che magari vediamo sui social media, mentre la realtà si fa sempre piû complessa e difficile da gestire a livello psicologico o emotivo. E la puntata si chiude infatti con il’ risultato effettivo di tale superficialità, ovvero l’allontanamento piû o meno esplicito di coloro che non partecipano a tale girandola di immagini preconfezionate, quella porzione di società che ha problemi ben piû seri ed urgenti dell’ultima storia postata su instagram.

Quando poi The Curse gioca con i piccoli accorgimenti e le atmosfere disturbanti dell’horror – in maniera assolutamente velata, sia chiaro – lo fa con una competenza e una cognizione del genere quasi disarmanti. Il risultato è esplicitamente stridente, ma sembra proprio l’effetto che Fiedler e Safdie volevano ottenere. E onestamente la performance della Stone si fa scena dopo scena talmente subdola e coraggiosa che meriterebbe di essere citata come terzo autore dello show.

Una serie in grado di generare dibattito

Nata dalla partnership tra Showtime e A24, The Curse ha tutte le carte in regola per essere una serie televisiva in grado di generare grande dibattito, attirando molti estimatori così come verosimilmente detrattori. Nei toni, nella forma grezza della messa in scena, nella rappresentazione della bassezza umana, lo show si spinge davvero a fondo e questo quasi sicuramente dividerà. A noi i primi tre episodi presentati in anteprima mondiale al New York Film Festival hanno lasciato un senso di spaesamento e amarezza che non hanno comunque eclissato, anzi al contrario l’hanno rafforzato, l’enorme divertimento di situazioni e personaggi talmente perfettibili.

- Pubblicità -