Slow Horses: recensione della serie con Gary Oldman

Slow Horses

É un gioco di specchi ipnotico la miniserie in sei puntate che vede protagonista Gary Oldman. E non soltanto perché si tratta di una spy-story, dove ovviamente quasi nulla è quello che sembra. Slow Horses piuttosto propone esattamente quello che uno specchio fa, ovvero fornire a colui che vi guarda attraverso che riproduce una sembianza di realtà, quando invece si tratta della sua prospettiva ribaltata.

 

Il ribaltamento di Slow Horses

Il ribaltamento principale dello show è merito dal romanzo originale scritto da Mick Herron, a cui lo show si attiene con quasi totale fedeltà per almeno cinque puntate. Dal momento che il materiale di partenza è molto ben organizzato e preciso nel tono che intende sviluppare,  davvero non era necessario apportare vere e proprie modifiche. Protagonista della storia è il veterano Jackson Lamb (Gary Oldman), agente segreto dell’MI5 caduto in disgrazia e “parcheggiato” a capo di un dislocamento separato dell’agenzia dove finiscono tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno fatto fiasco. Ultimo arrivato in mezzo al gregge di “sconfitti” è River Cartwright (Jack Lowden), il quale però decide di rimettersi in gioco nel momento in cui un gruppo di estremisti rapisce un giovane minacciando un’esecuzione atroce…

Le pagine del romanzo di Herron ci presentano gli agenti segreti protagonisti come mai li avevamo incontrati in precedenza, ovvero lontani anni luce dal glamour e dal coraggio di James Bond. Le persone che lavorano nella cosiddetta “Slough House” (“Casa del Pantano”) sono pavide, spesso inette oppure eccessivamente rancorose e piene di sé. Insomma, materiale perfetto per costruire una piccola grande commedia degli orrori, uno studio di caratteri che lo show mette in scena con il giusto senso dello sberleffo.

Slow HorsesSlow Horses immerge i personaggi in una non-storia in cui tutti sembrano tirarsi indietro all’idea di diventare protagonisti, e questo crea puntata dopo puntata un cortocircuito di senso corrosivo. A parte Cartwright ogni altra figura sembra disinteressarsi o ancor peggio trascinarsi il più possibile al riparto dagli eventi che accadono. Ovviamente per alcuni di loro si tratta come anticipato di un ammirevole gioco di specchi, dove il riflesso può nascondere la verità di un passato da insabbiare, di un rimorso non sopito, di un dolore che appare impossibile da rimuovere completamente.

Non ci sono eroi in questa miniserie, ma dietro la patina di polvere che ricopre molti degli ambienti principali si possono comunque intravedere figure reali, le quali stentano nella vita di tutti i giorni ma forse posseggono ancora quella scintilla di dignità in grado di redimerli. Ed ecco allora che la sceneggiatura di Will Smith (omonimo dell’attore) e la regia di James Hawes costruiscono scena dopo scena un mosaico umano che parte come comico per poi acquistare uno spessore drammatico sommesso ma preciso, nelle ultime due puntate addirittura vibrante. 

Gary Oldman superstar

L’altro affascinante gioco di specchi che Slow Horses propone riguarda in maniera più precisa Gary Oldman, istrione chiaramente divertitosi un mondo a sviluppare Jackson Lamb, il quale fin dalla rumorosa presentazione nel pilot diventa antitesi radicale di George Smiley, personaggio che ha rappresentato (fino a oggi) la migliore interpretazione della sua carriera, all’epoca de La talpa (2011).

Dove la leggendaria figura creata dalla penna di John Le Carré aveva consentito a Oldman una performance magnificamente trattenuta, misurata alla perfezione per comporre la psicologia raffinata di un uomo abituato a rifugiarsi nella normalità al fine di portare a termine il proprio dovere, Jackson Lamb si muove esattamente nella direzione opposta: volgare, ostentato, persino brutale nella sua sincerità, l’agente dissimula le proprie abilità dietro una cortina di atteggiamenti scurrili e provocatori. Oldman torna a lavorare sopra le righe, a liberare il suo istinto istrionico con un’efficacia degna di ammirazione. È lui il cuore pulsante di Slow Horses, spy-story gioiosamente iconoclasta che merita una visione non preconcetta. E alla fine del sesto episodio si può già assaporare il trailer della seconda stagione!

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