Body Cam: la spiegazione del finale del film

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Body Cam (2020), diretto da Malik Vitthal, si inserisce nel filone degli horrorthriller soprannaturali che utilizzano la violenza urbana e la tensione sociale come terreno narrativo. Il film affonda le sue radici nello stress psicologico che investe gli agenti di polizia durante situazioni ad alto rischio, ma lo fa contaminando il genere con elementi paranormali e investigativi. La regia, asciutta e tesa, costruisce un’atmosfera opprimente che suggerisce fin da subito che la minaccia non è soltanto fisica, ma anche morale, quasi una manifestazione del non detto e delle ferite collettive.

Ciò che distingue Body Cam da altri thriller polizieschi è la scelta di un punto di vista fortemente soggettivo: la body cam diventa non solo un dispositivo narrativo, ma uno strumento metaforico che rivela ciò che il sistema vorrebbe oscurare. La contaminazione tra indagine realistica e vendetta sovrannaturale permette al film di muoversi lungo un confine fragile, in cui l’orrore nasce dal senso di colpa e dalle ingiustizie istituzionali più che da un’entità terrificante. Il risultato è un’opera ibrida, sospesa tra denuncia sociale e suspense, che sfrutta l’elemento paranormale per parlare del presente con maggiore incisività.

Questo approccio richiama altri film che mescolano genere e critica sociale, come End of Watch per l’uso del found footage e della prospettiva poliziesca immersiva, Candyman per la sua riflessione sulla brutalità razziale attraverso l’horror, o Sinister per il modo in cui il sovrannaturale diventa conseguenza di un trauma irrisolto. Body Cam dialoga idealmente con queste opere ma se ne distanzia per il focus sulla responsabilità collettiva e sull’espiazione. Proprio per questo, nel resto dell’articolo approfondiremo in che modo il film costruisce il suo finale e quale significato tematico gli attribuisce.

Nat Wolff e Mary J. Blige in Body Cam
Nat Wolff e Mary J. Blige in Body Cam

La trama di Body Cam

Il film vede protagonista l’agente di polizia Renee Lomito-Smith (Mary J. Blige): da poco rientrata in servizio dopo essere stata sospesa a causa di uno scontro avuto con un civile. In concomitanza col suo rientro, Renee viene a sapere della morte di un collega, avvenuta in circostanze davvero misteriose. Analizzando le telecamere di sorveglianza, infatti, Renee si rende conto che l’agente è stato brutalmente percosso a morte da quella che appare a tutti gli effetti come un’entità soprannaturale. Mentre altri attacchi iniziano a diventare sempre più frequenti, e a morire sono sempre poliziotti in servizio, Renee decide di indagare per scoprire cosa si cela dietro questa forza soprannaturale e perché sembra prendere di mira solo i suoi colleghi.

La spiegazione del finale del film

Nel terzo atto di Body Cam, Renee Lomito-Smith ricostruisce finalmente ciò che è accaduto a Demarco grazie al video lasciato da Danny Holledge, scoprendo che il ragazzo è stato ucciso ingiustamente da un gruppo di agenti che hanno poi insabbiato tutto. Quando Renee affronta il sergente Kesper in un magazzino, l’uomo tenta di ucciderla per proteggere il segreto, mentre l’ufficiale Penda arriva deciso a recuperare le prove. L’irruzione improvvisa di Taneesha cambia però il corso degli eventi e apre la strada all’arrivo dell’entità vendicatrice.

La rivelazione che l’entità è lo spirito di Demarco sconvolge l’equilibrio del confronto, trasformando la violenza della scena in una resa dei conti sovrannaturale. Demarco punisce Kesper e soprattutto Penda, l’uomo responsabile della sua morte, uccidendolo brutalmente e impedendo che la verità venga nuovamente occultata. Renee e Taneesha riescono a fuggire mentre Demarco si abbatte sui colpevoli, e solo dopo l’arrivo dei soccorsi emerge il segno più tangibile della riconciliazione: i figli di entrambe le donne appaiono insieme, segnalando che lo spirito può finalmente trovare pace.

Mary J. Blige in Body Cam
Mary J. Blige in Body Cam

La spiegazione del finale si concentra sul fatto che Demarco non è un’entità maligna, ma la manifestazione di un’ingiustizia rimasta irrisolta. Il suo potere è alimentato dal silenzio, dalla colpa e dall’impunità: finché la verità non viene riconosciuta, la sua furia continua a crescere. Con la confessione implicita di Kesper e la condanna morale di Penda, il ciclo della vendetta può interrompersi. La violenza sovrannaturale serve dunque a scoperchiare una violenza molto più umana, quella del pregiudizio e dell’abuso di potere.

Renee diventa così la figura fondamentale per la chiusura narrativa, perché rappresenta la possibilità di un sistema che decide di non voltarsi dall’altra parte. Il finale la mostra non come eroina impulsiva, ma come testimone consapevole, determinata a restituire dignità alla vittima. La sua volontà di far emergere la verità permette a Taneesha e Demarco di liberarsi dalla sofferenza, trasformando il sovrannaturale in un percorso di giustizia emotiva più che punitiva.

Il film lascia allo spettatore un messaggio potente: l’orrore più grande non proviene dal paranormale, ma dalla distorsione dell’autorità e dalla paura di assumersi responsabilità. Body Cam suggerisce che le ferite della società non possono essere sepolte, perché ritornano con forza, reclamando ascolto. Solo riconoscendo gli errori, denunciando gli abusi e affrontando il dolore si può sperare in una forma di pace, individuale e collettiva.

Gianmaria Cataldo
Gianmaria Cataldo
Laureato con lode in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza e iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio come giornalista pubblicista. Dal 2018 collabora con Cinefilos.it, assumendo nel 2023 il ruolo di Caporedattore. È autore di saggi critici sul cinema pubblicati dalla casa editrice Bakemono Lab.
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