Robert Redford

Il cinema americano deve molto alla sua zazzera bionda e ai suoi occhi azzurri, al suo volto bello, ma non del tutto convenzionale, che ha utilizzato negli anni per caratterizzare personaggi assai diversi. Dal novello sposo di un’eccentrica Jane Fonda in A piedi nudi nel parco, all’amante inquieto di una volitiva Barbara Streisand in Come eravamo, allo spirito libero de La mia Africa. Ma anche gente di malaffare, come il rapinatore Sundance Kid di Butch Cassidy, o il truffatore de La stangata. E non si è fatto neppure mancare ruoli da onesto cittadino che si batte contro le storture del sistema, come ne I tre giorni del condor e Tutti gli uomini del presidente. Ha prestato la sua espressività a personaggi piuttosto complessi, spesso scomodi: uomini imprigionati in storie d’amore intense, ma impossibili, o in complotti e scandali più grandi di loro. Decisi, ma fragili allo stesso tempo, orgogliosi, ironici, talvolta eroici loro malgrado. Poi è passato dietro la macchina da presa, distinguendosi nella direzione di pellicole di impianto classico, sentimentale, romantico, con una forte presenza della natura, da lui tanto amata. Sempre con un occhio rivolto alla sfera individuale, e uno a quella collettiva. Produttore, con la sua Wildwood Enterprises, scopritore di nuovi talenti e sostenitore del cinema indipendente, ha fondato il Sundance Institute e patrocinato il Sundance Film Festival, rispettivamente fucina e vetrina di giovani attori e registi che vogliono crescere lontano dallo strapotere hollywoodiano. Da interprete ha segnato il cinema di almeno tre decenni (‘60-‘80), da regista ha lasciato la sua impronta negli altri due (’90- ’00).

 

Charles Robert Redford Jr. nasce a Santa Monica, in California, nel ’37, da madre casalinga e padre lattaio di origine irlandese, poi contabile alla Standard Oil (negli anni ’50). Dopo la morte prematura della madre, avvenuta  a soli 41 anni, e dopo essersi diplomato, parte per l’Europa, facendo vita d’artista. Amante della natura, infatti, si è dato alla pittura. Visita Francia e Italia. Nel ’57 è di nuovo negli Stati Uniti, dove decide di iscriversi al Pratt Institute of Arts di New York. Propende per la recitazione, e si iscrive all’Accademia Americana di Arti Drammatiche. In questo periodo conosce Lola Van Wagenen, che sposerà nel ’58. Nel ’59 nasce il suo primogenito Scott, che muore poco dopo. Ma l’attore avrà con Lola altri tre figli – nel ’60 nasce Shauna, due anni dopo James, oggi sceneggiatore, e nel ’70 Amy, attrice.

È il ’59, però, l’anno del suo debutto teatrale a Broadway, con la partecipazione a Tall story. Nei primi anni ’60 inizia a lavorare per la tv e prosegue col teatro. Ma soprattutto, esordisce al cinema nel 1961, in Caccia di guerra di Dennis Sanders, ambientato nel ’53 durante la guerra di Corea. Accanto a lui, tra gli altri, recita l’amico Sydney Pollack, che punterà su di lui per diverse fortunate pellicole, mettendo in luce l’astro Redford nel firmamento hollywoodiano, prima, e ne consoliderà la fama, poi. Nel ’65, sarà in un paio di divertenti commedie: Situazione disperata, ma non seria e Lo strano mondo di Daisy Clover, dove reciterà accanto all’amica Natalie Wood. Il talento di Redford nella commedia  è d’altronde noto dalle sue prime esperienze teatrali. Ed è proprio con una commedia di cui era stato già protagonista in teatro, per la regia di Neil Simon, A piedi nudi nel parco, che arriva il primo vero successo sul grande schermo. È il 1967 e il film è diretto da Jamy Saks. La coppia di caratteri opposti formata da Redford e Jane Fonda funziona più che bene nel dipingere la difficile quotidianità di due novelli sposi. Ne scaturisce un godibile ed esilarante racconto di illusioni che cadono e ostacoli da superare: la scoperta dell’altro nel bene e nel male, con pregi e difetti, con cui fare i conti tutti i giorni. A Redford il compito di impersonare il marito compassato e razionale, alla Fonda quello di calarsi nei panni dell’eccentrica e svagata moglie, senza dimenticare Mildred Natwick nei panni della tipica suocera.

Un altro importante incontro nella carriera di Redford è quello con George Roy Hill, che lo sceglie prima per interpretare il ruolo di Sundance Kid in Butch Cassidy (’69), poi per La stangata (’73). Nasce e si consolida così una delle coppie più affiatate della storia del cinema americano: Redford incontra Paul Newman, e il successo è assicurato. Coppia di ladri, assaltatori di treni e banche nel Far West nel primo caso, di truffatori nell’America della Grande Depressione nel secondo. Uno più esperto (Newman), l’altro giovane, ma promettente (Redford). Molta ironia, interpretazioni perfette e ruoli complementari, colonne sonore che restano stampate nella memoria (Raindrops keep fallin’ on my head di Burt Bacharach nell’uno, e il celebre ragtime di Scott Joplin The Entertainer nell’altro). Questi gli ingredienti di sicura riuscita cui Hill s’affida. E non sbaglia, vista la pioggia di Oscar  – è proprio il caso di dirlo – che cade sulle due pellicole: cinque statuette per Butch Cassidy e addirittura otto per La stangata. Per il ruolo di Sundance Kid, Redford si aggiudicherà il BAFTA – che spetterà anche alla protagonista femminile Katherine Ross – mentre per quello di Johnny Hooker, l’attore riceverà il David di Donatello come Miglior Attore straniero.

In questi stessi anni la collaborazione con Pollack dà i suoi primi frutti. Se già nel ’66 questi aveva diretto Redford nel suo secondo film, Questa ragazza è di tutti, nel ’72 lo vuole per interpretare Jeremiah Johnson nel western Corvo rosso non avrai il mio scalpo. Ma il primo vero grande successo ottenuto da questa fortunata unione artistica è la commedia sentimentale Come eravamo (‘73) dove l’attore californiano recita al fianco di Barbra Streisand. È un viaggio in un ventennio di storia americana, dagli anni ’30 ai ’50, in cui si dipana la vicenda sentimentale piuttosto tormentata della coppia: Hubbell Gardner/Redford e Katie Morosky/Streisand. Lui, giovane di classe media, che sperimenta esercito e guerra, ma con la passione per la scrittura, finisce a fare lo sceneggiatore a Hollywood, durante il maccartismo. Lei, attivista di sinistra di carattere e convinzioni incrollabili, lotta per le sue battaglie. Pur nell’estrema diversità, si amano e provano ad affrontare una vita insieme. Ma i caratteri opposi alla lunga, nonostante l’amore, si rivelano inconciliabili. Gran successo del film, grazie alle ottime interpretazioni dei protagonisti, alla sapiente regia di Pollack e alla colonna sonora di Marvin Hamlisch – lo stesso che, sempre nel ’73, adatta il ragtime di Joplin per La stangata. Valanga di premi, anche in questo caso: Oscar e Golden Globe per la Miglior Colonna sonora e Canzone originale, The way we were, cantata sul finale dalla stessa Streisand. David di Donatello a lei come Miglior Attrice straniera.

Due anni dopo, Pollack e Redford bissano il successo con I tre giorni del condor. Stavolta siamo in tutt’altro clima. Redford interpreta il tranquillo impiegato Joseph Turner, che fa ricerche per conto della Cia. Scampa per caso a una strage e si troverà nel bel mezzo di una storia di servizi segreti deviati e dossier falsi, creati per far scoppiare una guerra in Medio Oriente. Saprà cavarsela abilmente, anche grazie all’aiuto di Kathy/Faye Dunaway. Qui, Redford è alle prese con questioni di ordine etico, sociale e politico. Interpreta con convinzione ed efficacia il ruolo del cittadino comune, onesto lavoratore, che, venuto a conoscenza di crimini e ingiustizie, fa la cosa giusta, scegliendo di non tacere.

Nel ’76 invece, non sarà Pollack, ma Alan Pakula a dirigere Redford in un altro classico del cinema americano, che stavolta lo vede recitare in coppia con Dustin Hoffman. Si tratta di Tutti gli uomini del presidente, dove l’attore veste i panni del giornalista Bob Woodward. È così che, dopo i politici rampanti stile Kennedy (The candidate), il maccartismo, i servizi segreti deviati, il nostro sarà uno dei due giornalisti del Washington Post che con le loro rivelazioni daranno il via allo scandalo Watergate, che porterà il Presidente Nixon alle dimissioni. Sceneggiatura di William Goldman, premiata con l’Oscar, per l’efficace adattamento del libro, scritto dagli stessi Woodward e Bernstein. Il film è la ricostruzione puntuale dell’inchiesta, cui i volti e le interpretazioni di Redford e Hoffman regalano corpo e passione civile. Passione civile che contraddistinguerà sempre Redford nella vita, oltre che nelle sue interpretazioni e nei suoi lavori da regista.

L’attore californiano interpreta poi il cowboy Sonny Steele, che non sopporta maltrattamenti e sfruttamento dei cavalli, recitando di nuovo per Pollack, ne Il cavaliere elettrico (‘79). Qui, ritrova la collega Jane Fonda. È il direttore di un penitenziario che si finge detenuto per verificare le condizioni del suo carcere in Brubaker di Stuart Rosemberg (’80), e il giocatore di baseball Roy Hobbs ne Il migliore di Barry Levinson (’84). Ma la pellicola più riuscita cui partecipa in questi anni è senza dubbio La mia Africa (’85), ennesimo capitolo del sodalizio con Pollack, che ora lo sceglie per stare accanto a una volitiva Meryl Streep, nei panni di Karen Blixen. Il film è infatti tratto dall’omonimo libro della baronessa danese, che nei primi decenni del ‘900 acquistò, e diresse da sola, una piantagione di caffè in Kenia, eleggendo l’Africa a sua terra d’adozione. Piglio da imprenditrice, indipendenza, filantropia, coraggio le doti principali di questa donna, interpretata magistralmente da una magnifica Meryl Streep. Una donna insoddisfatta della vita, pure agiata, che il marito barone le fa condurre, insoddisfatta di un matrimonio contratto per convenienza, che ha il coraggio di lasciarsi alle spalle tutto, dapprima acquistando la piantagione dove si trasferirà, poi divorziando dal marito, sempre più lontano. Coraggiosa anche nel cercare in questa nuova vita, un nuovo amore, che troverà appunto in Denys/Redford. Altra relazione tumultuosa, non la prima nella carriera di Redford attore, perché i due caratteri non collimano: possessiva lei, che attribuisce l’aggettivo “mio” a tutto ciò che ha intorno e vorrebbe farlo anche con le persone, ivi compreso ovviamente lo stesso Denys. Spirito libero lui, che non vuole rinunciare a un briciolo della sua indipendenza, nonostante l’amore per Karen. Grande successo di critica e pubblico e ancora una volta incetta di statuette (Oscar per Miglior Film, Regia, Sceneggiatura, tra gli altri), Nastro d’Argento e David di Donatello come Miglior Film straniero. Quest’ultimo riconoscimento va anche alla Streep come Miglior Attrice straniera. Nella vita privata, questo per l’attore è l’anno del divorzio da Lola Van Wagenen.

Ormai la fama di Redford è consolidata, ha avuto l’opportunità di farsi dirigere da grandi registi e lavorare al fianco dei più noti volti maschili e femminili di Hollywood. È per questo che, già all’inizio del decennio ’80, cerca gratificazioni anche in altre attività. È il 1980 quando passa dietro la macchina da presa, per dirigere Donald Sutherland, Mary Tyler Moore e Timothy Hutton in Gente comune. Si trova più che a suo agio Redford nella nuova veste di regista, ed è così abile che guadagna quell’Oscar mai ricevuto fin ora come attore. Da regista potrà dedicarsi ad esplorare le tematiche che più gli stanno a cuore: i rapporti familiari, in particolare quelli fra genitori e figli, l’amore per la natura e gli animali, ma anche la passione civile. Quest’esordio ottiene gli Oscar per il Miglior Film, la Miglior Regia e la Miglior Sceneggiatura.

Le capacità registiche di Redford saranno confermate negli anni a venire, specie nei ’90. I larghi paesaggi naturali del Montana faranno da sfondo alla storia di una famiglia americana nei primi trent’anni del secolo scorso, nel film In mezzo scorre il fiume (1992). Di buona fattura, si avvale di una trattazione classica della geografia dei sentimenti, non scevra da retorica. Due anni dopo dirige John Turturro in Quiz show, in cui riflette sul ruolo della tv nella società moderna. Nel ’98 torna al suo amore per la natura e gli animali dirigendo sé stesso e la quattordicenne Scarlett Johansson in L’uomo che sussurrava ai cavalli. Film sentimentale, in cui Redford tocca le corde più facilmente emotive dello spettatore, non rinunciando al suo stile classico, forse un po’ stucchevole, ma alla fine efficace. Ancora una volta, ambientato tra le verdi vallate del Montana. Qui il regista ritaglia per sé la parte del cowboy saggio e piuttosto solitario, che sembra quasi preferire gli animali agli uomini.

Negli anni ’90 e 2000, Redford continua a far film anche solo come attore, ma non di particolare rilievo, scegliendo di concentrarsi soprattutto sulla regia. Da molto, poi, ha creato una sua casa di produzione cinematografica, e si è dato al sostegno e alla formazione di giovani talenti artistici. Ha fondato, infatti, anche il Sundance Institute, nello Utah. Accanto a questo istituto, è nata quella che negli anni è diventata un’importante vetrina per nuove promesse del cinema: il Sundance Film Festival – oggi il maggior festival americano di cinema indipendente. Questo suo impegno nella promozione del cinema indipendente made in Usa è tra le motivazioni alla base dell’Oscar alla carriera, conferitogli nel 2002 dall’Academy hollywoodiana. Il Sundance Film Festival ha lanciato registi come Quentin Tarantino, Robert Rodriguez e Darren Aronofsky.

Tornando al lavoro dietro la macchina da presa, nel 2000 Redford dirige Will Smith e Matt Demon in La leggenda di Bugger Vance. Poi si prende una pausa, per tornare alla politica e all’attualità con Leoni per agnelli nel 2007. Cast stellare che vede, oltre a Redford stesso, Meryl Streep e Tom Cruise, per il ritorno all’impegno politico del regista californiano. Qui, il maturo Redford punta a suscitare dibattito, dubbi, domande, su quella che è forse la più grande questione politica di questi anni: la guerra in Medio Oriente come strumento di lotta al terrorismo. Nei tre episodi del film emerge la posizione nettamente antimilitarista di Redford e la volontà di smascherare la cattiva coscienza, l’ipocrisia e l’opportunismo di quella parte della società americana che sostiene le ragioni della guerra. Ma punta a scuotere anche chi, pur contrario, non fa abbastanza per opporvisi.

E torna ancora alla politica nel 2010 con The Conspirator, per raccontare la storia di una donna, arrestata con altri sette compagni dopo l’uccisione di Abramo Lincoln. Sono tutti accusati di aver tramato per uccidere il Presidente. La pellicola sarà nelle sale italiane dal prossimo 22 giugno. Ancora grandi questioni morali, politica, ma anche affetti e sentimenti, insomma gli ingredienti tipici della cinematografia di Redford, per questo atteso ritorno alla regia

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