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Al Lucca Comics and Games 2022 Bonelli Entertainment ha fatto il suo esordio ufficiale nel mondo della produzione audiovisiva, presentando un lungometraggio per il cinema, quel Dampyr di cui tanto si sta parlando tra le community cinefile e “fumettare”, e la serie animata Dragonero. I Paladini, che invece arriverà in tv a dicembre. 

 

In occasione della fiera, sono stati proiettati i primi quattro episodi della serie, alla presenza della squadra produttiva guidata da Vincenzo Sarno, della stampa, ma soprattutto di una folta platea di bambini, già grandi fan Ian, Myrva e Gmor, che hanno lasciato la sala canticchiando la sigla.

Partendo dal materiale originale di casa Bonelli, opera della mente di Luca Enoch e Stefano Vietti, Dragonero. I Paladini racconta l’adolescenza dei tre protagonisti, mentre vivono la loro avventura per diventare Paladini, i combattenti leggendari che proteggono l’Erondár dalla minaccia dell’Inframondo, sotto la guida del possente e saggio Draiken, l’Ultimo Drago.

Un progetto che è stato una vera e propria sfida per la squadra produttiva che ha visto Bonelli Entertainment lavorare insieme a Rai Kids, PowerKids e NexusTV. Dragonero. I Paladini è composta da 26 episodi per la regia di Enrico Paolantonio e la produzione creativa di Giovanni Masi Mauro Uzzeo, che hanno anche firmato le sceneggiature insieme a Federico Rossi Edrighi.

Dragonero. I Paladini, intervista a Enrico Paolantonio

Per raccontare questa avventura, abbiamo incontrato Enrico Paolantonio, che ha firmato la serie in veste di regista e che si occupa di animazione da circa 20 anni. Com’è portare avanti, in Italia, la bandiera dell’animazione?

“Faccio animazione a livello professionale dai primi anni ’90, ho studiato animazione alla scuola di cinema Rossellini e in quel periodo ho mosso i primi passi in ambito professionale. All’epoca non esisteva l’industria dell’animazione come la conosciamo oggi, c’erano solo piccoli studi che lavoravano a progetti piccoli. Solo negli anni ’90, quando la RAI ha cominciato a produrre animazione, si è registrata una crescita del settore con la produzione dei primi cortometraggi fino ad arrivare ai primi veri e propri film d’animazione. Fino a pochi anni fa, solo Bruno Bozzetto era stato capace di girare lungometraggi d’animazione, poi ci è riuscito Enzo D’Alò, ma c’è stato un buco nero di nulla, nel mezzo. In questo momento storico, non siamo certo ancora ai livelli degli studi americani, dove circolano volumi di fondi davvero impressionati, ma ci stiamo avvicinando a passi da gigante alle altre industrie europee. Fino a qualche anno fa ci guardavano tutti dall’alto in basso, e oggi invece partecipiamo a co-produzioni con studi internazionali. Lo dimostra proprio Dragonero, che è una produzione Rai e Bonelli, ma ha anche partner internazionali. Questo tipo di sinergie sono importanti perché fare animazione richiede tantissimo tempo e persone, e perciò tanti soldi, così, unendo le forze, si mettono insieme i capitali necessari. Ad esempio Dragonero. I Paladini ha coinvolto centinaia di persone per tre anni di produzione. Quindi, l’industria si sta formando, ma quello che manca oggi è la mano d’opera. In Italia non si pensa alla formazione di professionalità che possano trovare lavoro in questi ambiti creativi. Il fumetto e l’animazione sono degli spazi dove c’è sempre bisogno di chi fa storyboard o di chi si occupa delle scenografie o delle animazione, sarebbe importante avere un sistema di istruzione che consideri questo tipo di preparazione un elemento importante per i giovani, soprattutto considerate le enormi potenzialità per il mondo del lavoro. Bisognerebbe cambiare l’idea che i più hanno rispetto a animazione e fumetto: non si tratta di linguaggi dedicati ai bambini, sono strumenti espressivi senza limiti, e bisognerebbe cominciare a considerarli tali anche da noi. In Francia, in Giappone esiste una vera e propria industria in questo senso, un’industria che produce opere d’arte. Certo, il termine cartone animato fa sorridere, mi sembra buffo e mi piace molto, ma io quando parlo d’animazione intendo cinema d’animazione.”

Com’è stato però lavorare in una produzione di animazione in celshading 3D quando la tua esperienza ventennale è legata all’animazione 2D? 

La sfida è stata indubbiamente enorme. Sono stato approcciato da Vincenzo Sarno, con cui ho lavorato nell’arco di 16 anni a diversi progetti in 2D, e quando lui ha cominciato a lavorare a questa serie, mi ha coinvolto. Lavorare a una produzione in 2D non è la stessa cosa che lavorare a una produzione in 3D, ci sono tante tecniche differenti, bisogna imparare un linguaggio nuovo, in termini di regia, di movimenti di camera, di modellazione dei personaggi. Quando abbiamo realizzato il primo test video, occasione in cui ho provato per la prima volta questa tecnica che conoscevo poco, ero dubbioso perché mi rendevo conto di tutte le difficoltà che avrei dovuto affrontare. Poi un giorno Mauro (Uzzeo, ndr) è venuto nel mio ufficio, abbiamo parlato a lungo, e mi ha fatto capire che un’esperienza del genere avrebbe aggiunto al mio curriculum una voce importante, e così mi sono lasciato convincere. Non si poteva dire di no a una proposta che, nello stesso pacchetto, offriva la possibilità di lavorare con Bonelli e un corso accelerato di animazione 3D!”

Dragonero. I Paladini è entrato in produzione nel momento in cui il mondo si chiudeva a causa della pandemia. È stato un baluardo di speranza, il segno che si continuava a vivere e a creare da qualche parte, anche se a distanza. Tuttavia questa condizione lavorativa ha anche moltiplicato le difficoltà.

“La pandemia ha avuto una puntualità incredibile. Abbiamo fatto l’ultima riunione a Milano poco prima del primo lockdown, una volta tornati tutti nelle nostre case, ci hanno chiusi. Diciamo che queste produzioni comportano sempre un certo grado di complicazioni e difficoltà, però in genere si prevedono e si conoscono. La pandemia è stata qualcosa di imprevedibile. Ci ha tenuti tutti a distanza per molto tempo e questo non ha aiutato di certo la comunicazione, che è avvenuta solo tramite Skype. È vero che spesso in queste produzioni ci sono tanti collaboratori e forse i disegnatori, in particolare, sono da sempre i più abituati ad affrontare l’isolamento, però il momento in cui eravamo davvero tutti a distanza l’ho sofferto di più, perché sono abituato a lavorare con uno staff interno. Il lavoro quotidiano di confronto è fondamentale perché lavorando a distanza viene a mancare il confronto costante, la contaminazione tra artisti. Quando ci si confronta sul momento si crea un ambiente in cui si creano cose inaspettate, perché c’è uno scambio continuo. A parte questo aspetto, credo che siamo stati bravi a fare di necessità virtù, le lunghe riunioni erano diventate una sorta di abitudine, siamo stati in contatto telematico su base quotidiana. Ma tutto sommato siamo riusciti a lavorare bene, altrimenti non avremmo chiuso la serie!”

I primi quattro episodi della serie hanno offerto uno sguardo abbastanza completo a quello che è il mondo di Dragonero, soprattutto hanno mostrato la ricchezza del prodotto. Qual è l’aspetto che preferisci del lavoro finito?

“Credo che l’aspetto migliore della serie sia l’alchimia che c’è trai tre personaggi principali, come si comportano e come interagiscono tra loro. Si fanno di continuo battute, si prendono in giro, sono sempre sullo stesso livello, è un piacere vederli animati. C’è un momento nella prima stagione che, per varie ragioni che non riveliamo perché sarebbero spoiler, i tre non si trovano insieme nello stesso posto e questa distanza si sente nel tono della narrazione, si avverte il peso del fatto che Ian, Myrva e Gmor sono separati. Un altro elemento che ho amato molto di questa produzione è Arcana, la villain della storia. Mi sono sempre piaciuti i personaggi un po’ tormentati, oltretutto lei sprigiona un’aura potentissima e si capisce quasi subito che è un personaggio che avrà un’evoluzione molto importante man mano che la storia andrà avanti. Il doppiaggio di Stefania Patruno poi ha dato al personaggio una quarta dimensione.”

Creare un cartone animato da una serie a fumetti significa da una parte avere già a disposizione una vastissima gamma di elementi, ambientazioni e personaggi che devono poi essere traslati in un altro linguaggio e animati, ma prevede anche il compito di colmare il famoso “spazio bianco”, ovvero di andare a riempire quei buchi che il fumetto, per la natura del mezzo, lascia fuori dal quadro. Per Dragonero. I Paladini, Enrico e la sua squadra hanno creato un mondo.

“Una parte di questo lavoro che mi diverte tanto è la creazione del mondo. Ovviamente avevamo i volumi di Enoch e Vietti da cui partire, quindi abbiamo preso tantissimo da quel materiale lì, ma abbiamo anche dovuto creare delle situazioni da zero, inventando ambienti e oggetti. Questa per me è la fase più esaltante, perché devi dare vita a elementi che non esistono, ma lo devi fare seguendo le regole del mondo all’interno del quale ti muovi, devi immaginare cose che siano coerenti e abbiano un senso.”

E così è stato fatto, dando vita a un Erondár che esisteva già sulla carta, ma che è stato arricchito e moltiplicato, con luoghi, personaggi e soprattutto con un linguaggio che strizza l’occhio all’animazione giapponese. 

“Abbracciare l’estetica anime è stata la ferma volontà di Sonia Farnesi di RAI Kids e di Vincenzo Sarno, il quale in particolare ha fornito tantissimi riferimenti da altre opere a cui voleva ci ispirassimo. Abbiamo ricreato movimenti e alcuni dettagli dei look dei personaggi tenendo presenti quei modelli, ma l’aspetto definitivo della storia è completamente nostro e originale, direi decisamente europeo. Era importante mantenere l’identità del prodotto, anche perché abbiamo un’immaginario molto diverso da quello giapponese, e il pubblico lo sa.”

Cosa rimane di quest’esperienza così lunga e, per molto versi, anche formativa?

“Mi rimane principalmente il rapporto non sempre facile con la squadra, perché quando si lavora con tante persone non sempre fila tutto liscio. L’animazione è un processo complesso, come un’equazione di matematica, e se fai anche un piccolo errore all’inizio del calcolo, te lo trascini fino alla fine, moltiplicato, per cui a volte ci possono essere anche delle tensioni. Nonostante questo, adesso mi sembra di avere tanti nuovi amici. Il lato umano è forse il bagaglio più importante che mi lascia questa serie. Poi ho fatto una grande esperienza professionale, dopo tre anni, adesso posso dire di essere in grado di affrontare una grande produzione in 3D.”

Dragonero. I Paladini andrà in onda sulla RAI a partire da dicembre.

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