La Valle dei Sorrisi: intervista a Paolo Strippoli, tra dolore, identità e ombre della comunità

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Con La Valle dei Sorrisi, al cinema dal 17 settembre 2025, Paolo Strippoli torna a confrontarsi con il cinema di genere dopo A Classic Horror Story e Piove. Il film, interpretato da Michele Riondino, Romana Maggiora Vergano e Giulio Feltri, porta sul grande schermo la storia di un paese isolato tra le montagne, i cui abitanti vivono in una felicità innaturale grazie al “dono” di un ragazzo capace di assorbire il dolore degli altri. Ma dietro la serenità apparente si nasconde un rituale inquietante e un conflitto profondo sui limiti del sacrificio.

Abbiamo incontrato il regista per parlare delle origini del progetto, dei personaggi e dei temi che animano questo horror italiano pronto a scuotere lo spettatore.

L’origine della storia

Che cosa ti ha spinto a scrivere e dirigere questa storia e che cosa ti stava a cuore raccontare?

«L’idea del film è nata insieme ai due sceneggiatori, Milo Tissone e Jacopo del Giudice, alla fine del nostro percorso al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Abbiamo iniziato a scriverla nel 2017, in un momento di passaggio tra la fine degli studi e l’ingresso nell’età adulta. Volevamo riflettere su come gli esseri umani cerchino in ogni modo di scrollarsi di dosso il dolore: attraverso pratiche olistiche, droghe, psicofarmaci o religioni.

In La Valle dei Sorrisi ho voluto costruire una comunità che fosse essa stessa un personaggio, in cui non esistono buoni e cattivi assoluti ma persone che si spostano continuamente da un lato o dall’altro in base al bisogno di liberarsi dalla sofferenza. Prima ancora che un film di genere, è un coming of age a doppio punto di vista: quello di Sergio (Michele Riondino), un uomo che vuole ritrovare la possibilità di essere padre, e quello di Matteo Corbin (Giulio Feltri), un adolescente che cerca la propria identità mentre incarna il meccanismo di compensazione di un’intera comunità».

Il confine tra bene e male

La Valle dei Sorrisi

I confini tra bene e male sono molto labili?

«Non credo che nella vita reale esistano buoni e cattivi assoluti. Nel film, i personaggi sono vittime anche di sé stessi, e questo porta lo spettatore a chiedersi costantemente da chi difendersi e per chi tifare.

Mi piacciono le storie in cui i protagonisti attraversano una ricerca identitaria che li porta a oscillare tra ruoli opposti. Penso a Thelma di Joachim Trier, a Carrie di Brian De Palma o a Lasciami entrare di Tomas Alfredson.

Così accade a Matteo, che decide di liberarsi dalle catene imposte dalla comunità, e a Sergio, che nel suo bisogno di ritrovare un figlio è disposto a distruggere un equilibrio intero. Sono due anime che si cercano: Matteo ha bisogno di una guida, Sergio di un figlio. Il loro incontro è un’esplosione destinata a travolgere tutti».

Michela, un ponte verso l’esterno

Come entra in scena Michela, interpretata da Romana Maggiora Vergano?

«Michela ha subito un trauma da bambina che l’ha radicata alla comunità. È giovane, con il futuro negli occhi, ma non può lasciare Remis. Quando arriva Sergio, lei vede in lui uno spiraglio verso il mondo esterno e lo introduce al segreto del paese. Lo fa anche per tenerlo vicino, per non perdere quel legame con qualcosa che da tempo desiderava».

Paolo Strippoli
Paolo Strippoli sul red carpet di Venezia 82 – Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Un paese senza dolore

Parlavi di uno scenario pseudo-idilliaco in cui ci si difende dal dolore con la rimozione: in che senso?

«Attraverso il personaggio di Pichler (Sergio Romano) il film afferma che un essere umano compiuto è chi riesce a convivere con il dolore, trasformandolo in occasione di crescita. A Remis, invece, il dolore viene rimosso. Gli abitanti hanno dimenticato come si soffre e, privati del loro dispositivo di compensazione, sono disposti a compiere atti estremi. È questo che volevo raccontare: cosa succede quando una comunità intera non sa più affrontare la sofferenza».

L’ombra dell’Anticristo

Come vi siete documentati per scrivere la sceneggiatura?

«Abbiamo consultato diversi testi sacri e ci siamo concentrati sull’idea dell’Anticristo come figura che tenta con la promessa di rimuovere il dolore. Matteo può essere visto così, o come un angelo salvatore: dipende dallo sguardo di chi lo osserva.

Il riferimento esplicito è al capitolo 13 dell’Apocalisse. Il gioco del film è proprio questo: costruire una comunità con un personaggio al centro e lasciare che lo spettatore decida cosa rappresenta. Non è importante chi sia Matteo, ma cosa diventiamo noi se ci troviamo di fronte a una figura simile».

Un horror che parla al presente

Con La Valle dei Sorrisi, Strippoli firma un film che mescola horror e parabola sociale, giocando sul doppio registro del folklore e della riflessione contemporanea. In Sergio e Matteo, in Michela e negli abitanti di Remis, non c’è solo un racconto dell’orrore ma anche una domanda urgente: cosa succede a una società che rifiuta il dolore e cerca disperatamente di cancellarlo?

Dal 17 settembre 2025 nelle sale, il film invita a immergersi in un viaggio perturbante dentro la natura più fragile e contraddittoria dell’essere umano.

Redazione
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