Laura Morante e Marine Vacth raccontano l’esperienza sul set di Masquerade – Ladri d’amore

Masquerade - Ladri d'amore

Dopo esser stato presentato fuori concorso nell’ultima edizione del Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane, dal 21 dicembre con Lucky Red, il nuovo film di Nicolas Bedos, Masquerade – Ladri d’amore, che vede protagonisti Pierre Niney, Isabelle Adjani, François Cluzet, Marine Vacth, Emmanuelle Devos e Laura Morante. 

 

Abbiamo incontrato Laura Morante e Marine Vacth che ci hanno raccontato i loro personaggi, il film e il linguaggio con cui hanno dato vita a due donne molto diverse ma decise e volitive, piene di bellezza e di grazie, ma anche di lato oscuri, di contraddizioni e di aspetti profondamente tragici, il tutto sempre raccontato con leggerezza e vitalità. Come si conciliano questi due aspetti della scrittura di Bedos?

Marine Vacth: “Quando si lavora su un personaggio bisogna sempre essere concreti anche quando ci si confronta con una duplicità, bisogna sempre focalizzarsi sul lavoro in sé, il resto viene con naturalezza. I film di Bedos hanno questa duplicità, e abbiamo cercato con il nostro lavoro di rispecchiarla, ma è la storia che si fa carico di tutto questo mentre il nostro lavoro mira a rendere concreto ciò che è scritto”.

Laura Morante: “Più che duplicità, c’è una molteplicità di temi in queste storie, e io stessa quando scrivo mi servo dell’umorismo anche in contesti molto seri. Qualcuno mi ha detto che la mia visione della vita è amara, forse per i toni di quello che scrivo, ma la verità è che per me non esiste dramma senza commedia e viceversa. Penso che questa duplicità sia naturale e spontanea, dopotutto persino le grandi tragedie sono cariche di umorismo, per me non c’è contraddizione tra questi elementi, anzi, tragedia e commedia si compenetrano spesso”.

Masquerade – Ladri d’amore è una storia tratta da un libro. Quali sono stati i riferimenti che vi ha dato Nicolas Bedos nella costruzione del personaggio?

Laura Morante: “Lavorare su un film è come lavorare su una partitura, non esistono soltanto i personaggi e la storia, esistono le tonalità, tante sfumature diverse, esiste il fatto che recitare con gli altri è come suonare o cantare insieme agli altri e c’è il regista che dirige questa orchestra. Un personaggio avulso dal contesto artistico in cui è immerso non potrebbe avere nessuna specifica e nessun senso. C’è sempre una partitura da decifrare e rispettare, con una propria lettura.” 

Marine Vacth: “La base per i personaggi è stata il libro, nel film abbiamo anche avuto modo di fare qualche citazione a vecchi film, ma è stato un lavoro evolutivo che abbiamo fatto nel quotidiano, non abbiamo avuto troppe indicazioni, non c’era niente di definitivo fino a che la scena non era girata. Ci è stata data la possibilità di improvvisare i modi di mettere in scena le battute che però erano già scritte.”

Nel film entrambi i personaggi si confrontano con la doppia lingua. Il personaggio di Morante parla fluentemente italiano e francese, mentre quello di Vacth è una ragazza francofona che finge di parlare in francese con accento inglese per truffare il personaggio di Francois Cluzet. Cosa significa per un attore passare da una lingua all’altra da un punto di vista della tecnica di recitazione?

Marine Vacth: “Quello linguistico era l’aspetto che mi sembrava più difficile del mio personaggio, ma sul set si è rivelato tutto molto più facile del previsto, una volta impostato l’accento è stato tutto semplice, e poi la maggior parte di quelle scene erano con Francois Cluzet! Nei momenti in cui Margot finge l’accento inglese, c’è un aspetto ludico del personaggio che emerge, c’è una recita e una messa in scena, una recitazione dentro alla recitazione, che è una situazione divertente da interpretare.”

Laura Morante: “Molte cose nell’attore per fortuna avvengono istintivamente. Quando ho recitato ne La stanza del figlio, solo guardando il film mi sono accorta che avevo assunto degli atteggiamenti di mia madre, inconsciamente, perché interpretavo il ruolo della madre. Per fortuna una grande parte del lavoro dell’attore è inconsapevole. È pericoloso prendere troppa coscienza di sé, perché l’inconscia garantisce la grazia della performance. Ho visto molti attori diventare consapevoli e perdere la loro innocenza che è quello che a me personalmente commuove in un attore. Perdendo la grazia, perdi efficacia, secondo me. Per quello che mi riguarda preferisco la semi incoscienza.”

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