Presentato in concorso alla Semaine de la Critique, nel contesto del Festival di Cannes, il film Julie Keeps Quiet (qui la recensione) propone il racconto di una ragazza – la Julie del titolo, interpretata da Tessa Van den Broeck – che ha nel tennis la sua principale ragione di vita. Quando però il suo coach viene accusato di alcuni rapporti inappropriati con le sue allieve, venendo pertanto sospeso dal ruolo, a Julie viene chiesto di offrire la sua testimonianza. Lei, però, preferisce chiudersi nel silenzio, cercando di elaborare a suo modo quanto sta accadendo intorno a lei. Regista del film è il belga Leonardo van Dijl, che compie così il suo debutto alla guida di un lungometraggio.
Julie Keeps Quiet propone dunque il punto di vista di chi sceglie di rimanere in silenzio dinanzi a situazioni di violenza o abusi, cercando di approfondirne le motivazioni offrendo così un ritratto sincero e privo di giudizio di tale atteggiamento. Il regista racconta che nel concepire il film: “Ho avuto come una visione. In mezzo ai tanti discorsi su questo tema, una storia come questa non era ancora stata raccontata. Ho dunque iniziato a concepire il personaggio di Julie e a dialogare con lei per sei anni. Nel realizzare questo film, non mi sono mai chiesto cosa volevo io come regista, ma di cosa lei aveva bisogno come personaggio“.
“Per cercare di capirla – continua van Dijl – sono andato a parlare con terapeuti, con avvocati, con persone che nella realtà potrebbero incrociare la propria strada con ragazze come Julie e che potrebbero aiutarle in qualche modo. Ma non ho voluto parlare con ragazze che hanno vissuto esperienze simili, non volevo rubare la storia di nessuno per questo film. Credo che vicissitudini tanto drammatiche e personali non dovrebbero essere la base per un film, perché rivedersi in questo modo può essere piuttosto traumatico“.
Ricercare la poesia in ciò che non è poetico
“La prima scena che ho scritto su carta era il finale. La fine era, in realtà, l’inizio. Questo finale simboleggia un nuovo inizio. Lasciamo che il viaggio di Julie ci ispiri a interrogarci su ciò che possiamo fare per le generazioni future. Facciamo sentire la voce di Julie e la sua storia, perché un mondo migliore per Julie è un mondo migliore per tutti noi. Lavoriamo insieme per far uscire Julie, e noi stessi, da questo labirinto. Insomma, – aggiunge van Dijl – io e la mia co-sceneggiatrice Ruth Becquart volevamo riportare la poesia in qualcosa che in realtà è profondamente poco poetico“
“La cosiddetta ordinarietà – Julie è a un punto in cui non riesce a trovare dentro di sé la capacità di amare ciò che è, ma concentrandosi sui piccoli dettagli della vita e scoprendo la bellezza nascosta in essi, inizia a riconnettersi con il mondo che la circonda. L’amore che Julie nutre per il suo cane, la recita scolastica a cui partecipa, le sedute dal suo chiropratico. Queste sono state, per noi, la chiave perpermetterle di riconnettersi con se stessa”, spiega Leonardo van Dijl.
Dal dilemma di Amleto alle ragioni del tennis
Il regista è poi passato a raccontare del modo in cui ha immaginato la protagonista del film, affermando che: “Julie è un po’ una moderna Amleto. L’essere o non essere in questo caso è il parlare o il non parlare. Nella situazione in cui si trova entrambe le scelte implicano una sconfitta e credo che tutti prima o poi ci confrontiamo con un dilemma simile. Nel corso della storia, Julie emerge come un’eroina dei giorni nostri, facendo luce sulle pressioni e le ingiustizie nascoste che stanno plasmando il nostro tempo. Come Antigone, Julie osa dire “no”. In un mondo che la spinge a parlare, lei tace, costringendo il mondo ad ascoltare davvero.
“Per lo sport alla base del film, ho scelto il tennis perché lo ritengo una forma di meditazione. – spiega Leonardo van Dijl – I giocatori devono essere estremamente concentrati e focalizzarsi esclusivamente sulla palla. Anche gli avversari in un certo senso passano in secondo piano, perché la sola cosa che conta è cosa farà quella palla. Normalmente, nei film lo sport è raccontato in modo tossico o con personaggi così ambiziosi che vengono poi puniti per questo. Io invece volevo fare esattamente l’opposto, volevo che il tennis fosse per Julie l’unica cosa che la riconnette con sé stessa e con il mondo.
Leonardo van Dijl rivela cosa Julie può insegnarci
Il regista conclude poi affermando che: “Julie mi ha insegnato che tutti portiamo del silenzio in noi e che in questo mondo ci sono molte più cose che ci uniscono di quelle che ci dividono. Eppure ci perdiamo in questi discorsi, c’è troppa polarizzazione. Dovremmo smetterla di pensare in termini di protagonista e antagonista e pensare più al senso di comunità. Il film vuole però trasmettere anche un senso di speranza. Credo che oggi il mondo sia un luogo molto oscuro e deprimente. Molte cose orribili accadono ogni giorno e quindi in un certo senso abbiamo bisogno più che mai di storie di speranza. Il che è un po’ triste, il fatto che ne abbiamo così bisogno. Ci dice quanto poca ne troviamo nella quotidianità”.