Nikolaj Coster-Waldau presenta a Roma A Second Chance

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Alla Casa del Cinema di Roma l’attore Nikolaj Coster-Waldau (già star de Il Trono di Spade) ha presentato il suo ultimo film A Second Chance, ultima fatica della regista premio Oscar Susanne Bier.

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La prima domanda che viene rivolta all’attore riguarda la sfera emotiva del suo personaggio nel film, il poliziotto Andreas: Waldau si dichiara un “fan” dei film della Bier, e ammette la difficoltà di essere- ed incarnare- un essere umano così complesso e sfaccettato, capace di compiere azioni che spesso non si riescono ad immaginare o comunque a razionalizzare con lucidità, superando di gran lunga i limiti che si possono prevedere; l’abilità della Bier è di spingere lo spettatore a riflettere su questi comportamenti e sugli atteggiamenti che persone comuni adottano di fronte a scelte più grandi di loro.

Waldau ha attinto alla sua esperienza di padre per calarsi della parte, anche se non crede sia necessario ispirarsi alla propria esperienza personale per costruire un personaggio, perché spesso capita di interpretare ruoli diversi e distanti da sé stessi sul grande- e piccolo- schermo.

Un altro “motivo” portante del film è quello della doppia maternità vissuta da due tipologie di donne completamente differenti, e delle ambiguità che spesso ci dovrebbero spingere a non giudicare mai “un libro dalla copertina” e una persona dal suo aspetto esteriore: da una parte vediamo una madre borghese, Anna, che vive una vita splendida e agiata,ma che si sente colpevole di essere infelice e di provare dolore o tristezza; la situazione d’inferno che vive la moglie di Andreas nel film è simile all’inferno che vive Sanne, la compagna di Tristan l’eroinomane. Giudicare è pericoloso, afferma l’attore nordeuropeo, perché abbiamo sempre pochi elementi per farlo.

Un’altra domanda riguarda l’approccio di Waldau con le scene del film che vedono protagonisti i bambini, neonati in particolare, scene intense, drammatiche e difficili: l’attore ammette la sua profonda difficoltà, perché i bambini sono “la quintessenza dell’innocenza e della purezza”, e per questo devono essere protetti; spesso, per affrontare alcune scene hanno dovuto sostenere alcune difficoltà tecniche: per questo hanno usato svariati bambini (perché crescevano molto in fretta!) e il problema più grande è stato affrontare, ad esempio, la scena in cui Andreas e Anna si svegliano all’improvviso, di notte, trovando il figlioletto morto.

Se ne Il Trono di Spade un aiuto arriva dalle ambientazioni e dai costumi, che stimolano l’immaginazione creativa di un attore, in un film come quello della Bier tutto si basa sull’intensità delle scene, dei personaggi, sulle situazioni che vivono e affrontano, sulle relazioni che si creano tra loro; un grande contributo proviene dalla tecnica di regia che utilizza la regista, che riesce a ricreare una storia intensa portatrice- talvolta- di stress e tensione, pur affrontando magari un personaggio complesso e sfaccettato che forse rappresenta uno dei ruoli che un attore sogna durante l’intero arco della propria carriera.

Di solito, nei film, il focus va sulla maternità, e raramente sulla paternità: qui, incredibilmente, avviene il contrario. Come ha affrontato Waldau questa situazione?

Questa unicità, rarità, nel presentare un padre così affezionato al figlio, che si prende tutte le responsabilità, mostra un aspetto che spesso viene trascurato; molte volte il rapporto padre- figlio non è meno intenso di quello con la madre, solo viene percepito in modo diverso, e l’occhio critico della Bier è stato pronto a catturarlo.

Waldau confessa di non avere preferenze per quanto riguarda recitare in danese o in inglese, considerando che da quando è nato il suo sogno d’attore (vedendo C’era una volta in America di Leone) sognava di recitare nel nuovo continente, ma è Europeo e questo lo lega al “vecchio mondo” e ad un tipo di tradizione cinematografica specifica.

Sarebbe fantastico- ammette l’attore- se la sua popolarità planetaria- ottenuta grazie ad una serie tv- potesse portare ad un lancio maggiore e ad una diffusione su larga scala di un piccolo film come quello della Bier.

 

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.
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