Venezia 75: Damien Chazelle racconta First Man, con Ryan Gosling

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Alla conferenza stampa di First Man, il film di apertura della 75° Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, erano presenti lo sceneggiatore, alcuni attori principali, Ryan Gosling e il regista Damien Chazelle.

 

Per i tempi stretti sono partite subito le domande, senza che il film venisse introdotto e presentato.

A Chazelle viene chiesto il perché si sia interessato a questa storia, apparentemente così lontana da lui, visto che oltretutto all’epoca non era neanche nato. Lui risponde che è vero,  di essere cresciuto conoscendo la storia del primo uomo sulla luna leggendola nei libri e vedendola in televisione. Ma proprio per questo, sentiva il desiderio di saperne di più e di capire cosa c’era oltre quello che noi tutti conosciamo, spesso in maniera assolutamente superficiale.

Ryan Gosling racconta invece di come si è preparato ad affrontare il ruolo di Neil Armstrong. Dice di avere avuto la grande fortuna di farsi aiutare dalla moglie e dai figli dell’astronauta, ricevendo da loro dettagli e racconti che gli hanno permesso di avvicinarsi molto al vero Armstrong. Ha potuto confrontarsi anche con veri amici e colleghi, oltre alla NASA e alle continue visite al museo che gli è stato dedicato. Dai racconti di chi lo conosceva è apparso umile e reticente, cosa che gli è servita molto per costruire la base del personaggio, ma prendendosi alcune finestre di apertura per caratterizzarlo in maniera personale.

A chi gli chiede se Gary Cooper fosse tra le sue ispirazioni per improntare la recitazione, lui risponde ridendo “ Gary Cooper mi mancava”.

Afferma poi che tutti vogliono fare gli astronauti. Chi da bambino non ha mai pensato di farlo? Il cinema è il modo migliore per farlo senza andare nello spazio, anche se rappresenta una sfida altrettanto rischiosa.

Gosling ha provato claustrofobia nelle capsule realistiche, riprodotte dagli scenografi e ha vissuto le situazioni  come se si trovasse in un vero addestramento per astronauti. Ha voluto capire e imparare a volare, apprendere faticosamente l’abc del volo. E attraverso questo ha compreso come Neil Armstrong sia diventato un esponente di una razza diversa, una di quelle persone che devono arrivare alla rottura per capire e andare oltre.

Chazelle conferma di aver visto alla NASA e nei musei le vere capsule, rimanendo sbalordito per le loro ridottissime dimensioni. Ha voluto ricostruirle esattamente così per trasmettere la giusta sensazione di disagio e di piccolezza di fronte allo spazio  sconfinato, al vuoto nero enorme.

Si è poi parlato della famiglia di Armstrong, della difficile vita a margine di missione così rischiose e in particolare alle reazioni dei figli, così diverse ma emblematiche. Il più piccolo che si perde in un abbraccio senza capire il vero pericolo e la stretta di mano del più grande, che intuisce perfettamente la follia dell’impresa, ma che si ritrae e accetta il dovere, intuendo la fondamentale importanza del sacrificio.

Josh Singer, lo sceneggiatore, spiega di come i tanti personaggi siano stati necessari per fornire dettagli e umanità. Lo script è stato fatto leggere ai veri protagonisti della storia, coinvolgendoli e invitandoli ad aggiungere particolari intimi, magari apparentemente superflui, ma fondamentali per l’onestà e la veridicità del racconto.

Claire Foy, ha evidenziato la difficoltà nel costruire il ruolo della moglie, apparentemente marginale, ma cardine fondamentale della vita di Armstrong uomo.

Il regista conclude sottolineando che First Man è un film diverso per lui dopo il grande successo di La La Land e che non è stato affatto facile realizzarlo. E confessa la grande emozione ad aver avuto Steven Spielberg tra i produttori.

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