5 (Cinque): recensione del film con Alessandro Borghi

5 (Cinque)

Sfrutta il successo di Romanzo Criminale, film e serie, l’esordio nel lungometraggio di Francesco Maria Dominedò. 5 (Cinque), storia di ragazzi di strada, che si conoscono in carcere minorile e stringono un patto. Formano una banda, vivacchiano nella malavita romana, fino al grande salto, che li coprirà di soldi e droga, portandoli a contatto coi criminali veri e con problemi più grandi di loro, difficili da gestire.

 

Sceneggiatura assai simile a quella di Romanzo (si parte da una storia vera), locandina assai simile a quella di Vallanzasca. Il tutto condito però in salsa Dominedò: film indipendente, a basso budget, operazione artigianale, giovani attori provenienti da serie tv, fiction, reality. Se dunque, l’ispirazione alla filmografia di Placido c’è ed è scopertamente denunciata, l’ambizione è senz’altro diversa. L’obiettivo è l’intrattenimento. E possiamo dirlo raggiunto: la pellicola intrattiene, a tratti diverte, ha buon ritmo, nonostante alcune ingenuità. I cinque ragazzi sono ben caratterizzati, specie Gianni/Stefano Sammarco, Manolo/Matteo Branciamore ed Emiliano/Alessandro Borghi.

5 (Cinque), il film

Il primo è il leader del gruppo, è razionale e concreto “sul lavoro”, ma anche marito innamoratissimo di Paola/Emma Nitti. La loro relazione sarà messa in crisi dall’escalation criminale della banda. Convinta l’interpretazione di Sammarco, anche autore del soggetto del film. è invece Manolo: l’attore si lancia così in un ruolo opposto a quello di Marco, interpretato ne I Cesaroni. Veste bene i panni della scheggia impazzita del gruppo, col suo parlare convulso e i gesti sconnessi, costantemente esaltato, cocainomane egocentrico, che però sa procurare i contatti giusti – nell’aspetto, uno strano incrocio tra Er Monnezza e Serpico. Alessandro Borghi è convincente nel ruolo del timido Emiliano: il più chiuso, schivo, il meno partecipe, ma che segue comunque il gruppo per la profonda amicizia che lo lega agli altri membri. Meno approfondita l’analisi di Luigi/Christian Marazziti, molto legato alla sorella Vanessa/Lidia Vitale e al suo miglior amico Fabrizio/Alessandro Terzigni, un po’ rigido nell’interpretazione. Attorno ai Cinque, poi, un coro di donne: madri, mogli, prostitute/lap dancers, organizzatrici di traffici e boss mafiose. Alcune meglio caratterizzate, come Lissy/Giorgia Wurth, (la donna di Manolo), Paola/Emma Nitti (moglie di Gianni), o Vanessa. Altre, con ruoli cameo più o meno riusciti (tra cui una brava Claudia Zanella/Elite  e Giada De Blanck, che s’impegna, ma senza risultati eclatanti).

Il regista inserisce poi alcuni personaggi curiosi, divertendosi a far recitare attori noti “fuori ruolo”: Rolando Ravello nei panni di un’improbabile coreano, gestore del locale che veicola lo spaccio per conto dei Cinque. L’interpretazione sarebbe ottima, se non dovessimo davvero crederlo coreano. Stesso dicasi per Massimo Bonetti, zingaro, che rivela un accento smaccatamente romano. Questi i limiti dell’approccio volutamente artigianale del film, comprensibili forse in un poliziottesco anni ’70 (che qui si vuole omaggiare), ma che paiono, oggi, ingenuità eccessive.

Approccio che semplifica a volte troppo, come nel caso della sceneggiatura. Poco sviluppata in certi passaggi, incentrata su pochi momenti salienti, che mostrano a grandi linee il procedere di vita e business dei 5. Le sequenze di raccordo sono spesso costituite da scene di tipica vita da night club, con inflazione di corpi femminili discinti e musica a tutto volume, alla lunga ripetitive. Qui, come in altri momenti, i movimenti di macchina sono veloci, a tratti vorticosi, con uso abbondante di zoom. Uno stile che ricorda, in parte, quello dei videoclip musicali. Il tutto dà dinamismo a 5 (Cinque) e rende l’idea del vortice nel quale i ragazzi restano intrappolati. I dialoghi scorrono, con alcune buone trovate. Nel suo complesso, la pellicola ha un buon ritmo ed è accompagnata da musiche oscure e fumose, opera di Louis Siciliano, che ben si adattano al contesto.

Il risultato finale in 5 (Cinque) dunque è, come l’ha definito lo stesso regista, un “fumettone”, che non ha grandi pretese, si rifà al genere del gangster movie, ma non lo prende del tutto sul serio. È un’opera prima, punta su molti giovani attori, a volte vincendo la scommessa, altre con esiti meno  convincenti. Insomma, non è grande cinema, ma può essere un buon modo per trascorrere un’ora e mezza piacevole.

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