Carlos è un uomo
riservato e cortese che per guadagnare lavora come sarto nella sua
bottega nella piccola città di Granada, ma dietro questo lavoro si
nasconde una sorta di necessità, l’uomo è anche un serial killer
cannibale di sole donne. Carlos infatti ha dei problemi ad
approcciare ed amare l’altro sesso come se una barriera emotiva
glielo impedisse. La situazione cambia quando il sarto incontra
Nina, una ragazza rumena, che riesce nell’impresa di scogliere il
cuore del killer spagnolo con la sua innocenza e far pentire Carlos
delle sue azioni; sarà lieto fine tra i due?
Manuel Martin Cuenca costruisce un thriller finissimo che viaggia a ritmi lenti sul filo di una tensione sottile costruita attraverso la regia e rendendo omaggio all’Hitchcock di Vertigo e La Finestra sul Cortile. Il regista, nonostante il tema del cannibalismo, non mostra quasi mai sangue, ma quando compare è gestito in maniera impeccabile e con un contrasto cromatico degno di nota.
Opposizione che è usata
anche nella prima parte della pellicola per indicare il distacco
(emotivo) netto che c’è tra Carlos e la vittima in questione, lui
sempre in bianco e nero mentre la controparte femminile è un
esplosione di colori.
Ma la regia di Cuenca non si limita alla sola esposizione estetica e regala scene di assoluta raffinatezza come l’apertura del film in cui quello che sembra un campo lungo si scopre essere una sorta di soggettiva, o la sequenza in spiaggia che gode di una potenza e di una tensione costruite fondamentalmente con le luci di una macchina, gli occhi e i movimenti dei personaggi.
Ad aiutare il regista in questa messinscena interviene la bellissima fotografia di Pau Esteve Birba (premiato al San Sebastian) che dona ulteriore cupezza alla narrazione e al protagonista.
Ma il film di Cuenca ha i suoi difetti che derivano tutti da una sceneggiatura colpevole nel ritardare alcuni passaggi sfavorendo così una fluidità che ben si sarebbe sposata con i piani sequenza della macchina da presa.
Canibal è un buon thriller, di rara eleganza registica ma che paga un ritmo troppo blando e una sceneggiatura che nella prima parte ha una certa ripetitività e nel finale acquista solo prevedibilità.