Cose Nostre – Malavita recensione del film di Luc Besson

L’ultima fatica di Luc Besson, Cose nostre – Malavita, nelle sale dal 17 ottobre, segna il ritorno dietro la macchina da presa del grande regista e produttore francese che, per l’occasione, raduna un cast stellare, dirigendo i Premi Oscar Robert De Niro e Tommy Lee-Jones, una formidabile Michelle Pfeiffer e la star in erba della serie tv Glee, Dianna Agron.

 

Tratto dal libro “Malavita” di Tonino Benacquista, la pellicola si fregia di un altro nome importante, quello di Martin Scorsese come produttore esecutivo. Un ex mafioso italo-americano di Brooklyn trapiantato nella bucolica e bigotta Normandia,  costretto a vivere sotto protezione dell’FBI, dopo una scomoda testimonianza. Fin qui nulla di nuovo, un plot all’apparenza incline al consueto scenario filmico malavitoso e alle solite “cattive abitudini” dei criminali brooklynesi. Eppure nulla di più lontano dal quel genere gangster che, pur avendo consegnato alla storia del cinema alcune tra le più toccanti pellicole di sempre, oggi forse ha perso un po’ di smalto.

Cose nostre – Malavita potrebbe essere letto come il personale omaggio di Besson a un certo tipo di cinema, il tentativo di riportare alla luce un’atavica realtà vibrante ma con una salsa originale che combina il noir alla commedia più spassosa.

Un boss mafioso di nome Giovanni Manzoni (Robert De Niro) abituato a cambiare identità ogni volta che le cose si mettono male. Dalle maniere decisamente poco ortodosse ma dall’aspetto bonario e buffo, soprattutto quando impugna una polverosa macchina da scrivere per mettere nero su bianco le sue memorie. La granitica mogliettina dark , Maggie, in cui Michelle Pfeiffer mette un po’ della sua Elisabeth Collins (Dark Shadows). Una madre e moglie un po’ svitata, che appicca fuochi con la stessa facilità e amorevole passione con cui prepara la pasta, soprattutto se offesa nel suo spirito americano.

Cose Nostre - Malavita agronA completare il quadro, l’avvenente primogenita Belle (Dianna Agron) alla ricerca del suo perduto amore e di un modo per sopravvivere alla follia familiare, e il teppistello di casa Manzoni, Warren (John D’Leo), che tra una scazzottata e l’altra si conquista la fama e il rispetto di baby criminale.

Una famiglia balorda, dalle cattive e strampalate abitudini, dove un uomo ridotto in fin di vita o un incendio appiccato per futili ragioni, sono solo irrilevanti scaramucce, nonché il loro naturale modo di vivere la quotidianità. A cercare di arginare le eccentriche trovate, senza grandi successi, ci sarà l’agente Stansfield (Tommy Lee Jones).

Grottesca e un po’ dark come la famiglia Collins (Dark Shadows), simpatica e sinistra come i coniugi Addams, i Manzoni sono un quadretto familiare che schiva lo stile corleonese (evocato in qualche timido flashback) per rifugiarsi in una villa buia e polverosa, avulsa da ogni dimensione spazio-temporale, che riporta alla mente quella di American Horror Story.

Una pellicola elegantemente confezionata, con un’originale e preziosa ironia che compensa benissimo l’iniziale ritmo blando e qualche forzatura narrativa di troppo.

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