Dumb Money: recensione del film di Craig Gillespie

Dopo la parentesi Disney con Crudelia, Craig Gillespie torna con un'altra storia che racconta l'uomo comune a confronto con i grandi eventi.

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Scorrendo la filmografia versatile e curiosa di Craig Gillespie ci si accorge piuttosto facilmente di quanto il regista sia propenso a farsi cantore non sempre bonario di “outsider”, costretti dai loro limiti umani o da un sistema coercitivo ai margini del tessuto sociale. Pensiamo al poetico e allo stesso modo disturbante Ryan Gosling di Lars e una ragazza tutta sua (ancora oggi il suo film maggiormente azzardato e riuscito), alle Margot Robbie e Allison Janney velenose figlia e madre in Tonya, e in fondo anche alla folgorante Emma Stone di Crudelia, forse la combinazione migliore di Gillespie quando si tratta di abbinare mainstream e visione personale.

 

Il suo nuovo Dumb Money si inserisce coerentemente con questo discorso cinematografico che vuole dare voce a chi troppo spesso non ce l’ha: raccontando la vicenda che riguarda il celeberrimo caso finanziario riguardante le azioni di GameStop – tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 tenne incollata ai notiziari mezza America – Gillespie mette in scena come qualche volta, anche si i casi sono purtroppo sempre più rari, l’uomo comune possa mettere i bastoni tra le ruote del carro dei potenti, bloccandolo se non addirittura rovesciandolo. La storia di Dumb Money segue infatti le gesta di Keith Gill (Paul Dano) sconosciuto consulente finanziario e youtuber incallito il quale, scommettendo sulle azioni della catena di negozi di videogiochi in quel momento sull’orlo del fallimento, mise in enorme crisi molti colossi della finanza americana sollevando soprattutto attraverso Reddit una vera e propria azione popolare. Quando le azioni della società si impennarono fino a un valore inaudito, quello stesso “sistema” di potere messo con le spalle al muro intervenne in maniera perentoria (e legale?) a ripristinare lo status quo.

Dumb Money, buoni e cattivi insieme

Sfruttando la sceneggiatura articolata e precisa di Lauren Schuker Blum e Rebeca Angelo – a sua volta tratta dal libro The Antisocial Network di Ben MezrichCraig Gillespie costruisce un puzzle umano composito e frizzante, dividendo con sardonica raffinatezza i buoni dai cattivi senza necessariamente farne due schieramenti opposti e contrastanti. L’umanità rappresentata in questo suo lungometraggio, come d’altronde nei migliori tra i suoi precedenti, viene messa in scena in tutte le sue declinazioni, anche quelle meno edificanti. Non ci sono eroi integerrimi o antagonisti votati esclusivamente al male in Dumb Money, soltanto esseri umani che tentano di fare il meglio possibile anche quando si tratta magari soltanto del proprio tornaconto personale. Senza spingere eccessivamente sul pedale della satira sociale Gillespie ci presenta personaggi di cui è facile ridere, che vengono sorpresi o addirittura sbeffeggiati dalle situazioni anche quando dovrebbero essere in grado di fronteggiarle. Sotto questo punto di vista il Gabe Plotkin interpretato da un efficacissimo Seth Rogen diventa la figura maggiormente comica del film, una specie di “Candido” sprovveduto che si ritrova a gestire e perdere miliardi di dollari senza quasi capirne il perché.

Da parte sua, il candore e la saggezza di Gill sono il contraltare preciso – ma non distante, non “altro” rispetto a Plotkin – che rende Dumb Money un film basato su una dualismo tanto efficace proprio perché molto più sfumato di quanto non si creda. E proprio questo voler inserire tutte le parti in causa dentro un universo che in fondo le contiene senza separarle eccessivamente risulta a conti fatti il freno di Dumb Money: pur funzionando senza evidenti difetti il film sembra in alcuni momenti “frenato”, quando invece avrebbe potuto spingersi più a fondo nello sfruttare la commedia sociale corrosiva e non conciliatoria che Gillespie ha ampiamente dimostrato di saper padroneggiare, basta ricordare la ferocia di Tonya.

Un altro caso di ingiustizia sociale contemporanea

Con Dumb Money – il titolo deriva dall’epiteto dispregiativo con cui i falchi della finanza americani chiamano i piccoli investitori che guadagnano a loro confronto irrisorie somme di denaro – ci troviamo di fronte al racconto sincopato e sbarazzino di un altro piccolo grande caso di ingiustizia sociale contemporanea, un episodio che ha però dimostrato quanto l’unione della moltitudine silenziosa possa invece diventare il ruggito di chi si oppone allo sfruttamento economico. Un film estremamente “americano” nella storia  e nell’esposizione, con tutti i pregi e i limiti che ne derivano. Un prodotto senza dubbio da vedere e apprezzare, a cui ha voluto partecipare un cast nutrito e affiatato.

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