“La vita è il risultato delle scelte che facciamo“, è l’affermazione che apre il nuovo film di Gabriele Muccino (il tredicesimo in 27 anni di carriera), dal titolo Fino alla fine. Presentato nella sezione Gran Public della Festa del Cinema di Roma 2024, il film rappresenta inoltre una nuova incursione del regista nel mondo della gioventù e di tutta la sua incontenibile voglia di passioni e vita divorata attimo dopo attimo. Ciò era già avvenuto con i primi due film del regista, Ecco fatto (1998) e Come te nessuno mai (1999), per poi riproporsi nel 2016 con L’estate addosso ed ora, appunto, con questo suo nuovo progetto.
Film che arriva quattro anni dopo il maturo Gli anni più belli, per narrarci però non di anni bensì di un singolo giorno nella vita di cinque ragazzi. Un giorno che si potrebbe ugualmente definire “il più bello” per la giovane protagonista, almeno fino a quando non diventa un vero e proprio incubo. Incubo dal quale, però, sembra possibile imparare comunque qualcosa, come la bellezza del mangiare la vita prima che possa farlo lei a noi, del lasciarsi andare e farsi guidare dalla corrente, liberandosi dalle gabbie che ci costruiamo per poter davvero fare esperienza del mondo e delle sue infinite possibilità.
La trama di Fino alla fine
La protagonista è Sophie (Elena Kampouris), una giovane americana reduce da una vita di sacrifici e dolori. Durante una vacanza a Palermo con la sorella, nelle ultime 24 ore prima del ritorno in California, incontra Giulio (Saul Nanni) e il suo gruppo di amici siciliani. Desiderosa di vivere fino in fondo, Sophie decide di scegliere di camminare sull’orlo del baratro trascinandosi in una vertigine pericolosa, trasformando una semplice avventura in una battaglia per la sopravvivenza, il riscatto e l’adrenalina pura. In questo labile confine tra vita e morte, Sophie verrà risucchiata dal fascino del pericolo, commettendo errori che marchieranno la sua vita, cambiandola per sempre.
Le scelte che ci definiscono
Come si diceva in apertura, la vita è il risultato delle scelte che facciamo e di certo Sophie si è stancata di non scegliere e di lasciarlo fare agli altri per lei. È così che basta una leggera spinta perché il vaso barcolli, cada e vada in mille pezzi. Un momento di non ritorno che coincide con l’incontro con Giulio e i suoi tre amici e a partire dal quale assistiamo concretamente al modo in cui una serie di scelte apparentemente innocue e prese con leggerezza possano portare a conseguenze impensabili e drammaticamente irreparabili. È così che quella che inizia come una banale serata di divertimento sfocia ben presto in pericolosi atti criminali.
Naturalmente i segnali che le cose avrebbero potuto prendere una brutta piega hanno iniziato ad esserci quasi sin da subito, ma Sophie ha troppa voglia di staccare la testa e dimenticare ciò che la tormenta ed è dunque disposta a chiudere prima un occhio e poi anche l’altro. Come lei, li chiude anche Gabriele Muccino, che sceglie giustamente di non giudicarla mai per le scelte che compie e sembra chiedere al pubblico di fare lo stesso. Allo stesso modo, non giudica neanche Giulio e i suoi amici, ma anzi offrendo attraverso il più “pericoloso” di loro – il Komandante di Lorenzo Richelmy – una sua personale risposta a ciò che porta l’essere umano a compiere certe scelte.
Giovani in cerca d’amore
C’è infatti un preciso momento, che potrebbe essere un po’ il cuore di Fino alla fine, in cui Sophie apprendendo del difficile passato di Komandante lo abbraccia e gli sussurra che lui non è cattivo. Lui, dinanzi a quel gesto di affetto, appare totalmente spaesato e disarmato, come se si rendesse conto per la prima volta che è proprio quello ad essergli mancato nella vita e che forse avrebbe potuto salvarlo da certe scelte sbagliate. I giovani protagonisti di Muccino sono vittime dell’assenza d’amore, che sia quella data da un genitore o dalla società che si prende cura di te. Per questo il regista non li giudica – neanche li giustifica ovviamente – ma cerca piuttosto una risposta al modo in cui sono cresciuti.
Vivere secondo le proprie regole, fino alla fine
Certo, in più di un momento occorre sospendere non solo il giudizio nei confronti dei personaggi ma anche l’attaccamento alla verosimiglianza (che di base è sempre un po’ noiosa), specialmente di fronte ad alcune soluzioni narrative senza le quali forse il racconto non avrebbe potuto procedere. Ma anche davanti all’azione più impensabile, a cui sembra troppo assurdo che qualcuno possa ridursi, è bene ricordare che nella realtà di scenari di questo tipo se ne sentono sempre più frequentemente e di storie finite male – troppo spesso con giovani schiacciati dalla competitività, altro tema sottopelle del film – ne sono pieni i telegiornali.
L’operazione di Muccino è dunque delicata, non priva di elementi zoppicanti, ma indubbiamente ragionata. Si avverte anche qui la cura nella costruzione delle scene che lo contraddistingue e quanto il racconto si fa più forsennato la regia riesce abilmente a sostenerne il ritmo, portando verso una conclusione che pur nella sua tragicità risulta quasi essere un invito a vivere fino in fondo, fino alla fine, fino alle estreme conseguenze, inseguendo la libertà secondo le nostre regole, così come Sophie la ricerca stabilendone finalmente delle sue. Certo, non ridursi in tutto e per tutto come i protagonisti di Fino alla fine è quantomai auspicabile.
Fino alla fine
Sommario
Gabriele Muccino torna a parlare dei giovani e delle loro incontenibili emozioni e passioni. Se pure Fino alla fine ripresenta i limiti che puntualmente vengono rinfacciati al regista, va detto che sa offrire una storia avvincente e ben costruita, davanti alla quale si chiede di sospendere il giudizio per cercare di comprendere i personaggi e la loro ricerca d’amore che procede per passi falsi e cadute.