Foe: recensione del film di Garth Davis

Il film è stato presentato al New York Film Festival 2023

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Una delle componenti necessarie perché la fantascienza distopica funzioni è l’attenzione ai dettagli che la rendano credibile, ovvero dettagli magari anche non percepiti che, se mancanti, possano distrarre l’attenzione dello spettatore costretto a quel punto alla ricerca di verosimiglianza. Foe, il nuovo film Garth Davis – il suo precedente Lion con Nicole Kidman e Dev Patel ha addirittura ottenuto la nomination all’Oscar come miglior film dell’anno – dimostra immediatamente di non possedere questo requisito importante, se non addirittura fondamentale.

 

Foe si apre infatti con la didascalia che setta la storia nel Midwest americano, mentre in nemmeno cinque minuti di film ci si rende perfettamente conto che il film è stato girato nelle immense pianure dell’Australia. Trattandosi principalmente di raccontare una storia d’amore e della sua complessità, qualsiasi ambientazione che desse il senso di desolazione che i due protagonisti stanno vivendo sarebbe andata bene. Perché dunque sceglie di dare un setting preciso per poi smentirsi spudoratamente con le immagini stesse? Il Midwest americano è ben sedimentato nell’immaginario cinematografico mondiale, no?

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Un melodramma “arricchito” dal genere

Questo chiaro errore di sottovalutazione è purtroppo soltanto il primo di una serie di difetti che il film targato Amazon evidenzia nel corso del proprio sviluppo. Adattamento del romanzo omonimo scritto da Ian Reid, Foe possiede il fardello che tanto cinema cosiddetto “alto” oggi possiede. Ovvero l’utilizzo di un genere per “arricchire” teoricamente quello che è in tutto e per tutto un melodramma amoroso, con il risultato di rendere l’intera operazione macchinosa, spesso confusa e peggio di tutto grondante retorica.

In un momento in cui il cinema a stelle e strisce e non soltanto si sta impegnando nella ricerca di una narrazione maggiormente veritiera del rapporto uomo-donna nel mondo contemporaneo – riguardo questo argomento vi rimandiamo alla recensione del notevole Fair Play in uscita su Netflix il 6 ottobre – il film di Davis al contrario cade dentro paludose schematicità nel mettere in scena l’insoddisfazione della protagonista, proponendo al pubblico un discorso che, senza voler fare spoiler, a nostro avviso alla fine diventa forse anche fuorviante.

Foe, una fantascienza gratuita

La sceneggiatura di Foe avrebbe funzionato molto meglio se si fosse allora concentrata sul lato sci-fi della storia e sulle sue implicazioni etiche, questione che se anche tentata viene soffocata dalla messa in scena di Davis che invece punta esplicitamente a farne un melodramma d’autore. A questo punto la componente di fantascienza si fa realmente inutile, anzi appesantisce l’operazione con una serie di spunti narrativi che non migliorano la trama né rendono i personaggi maggiormente profondi o interessanti.

In questa confusione totale di intenti e idee su come realizzarli i due attori principali Saoirse Ronan e Paul Mescal possono fare davvero poco per salvare la situazione. Se però l’attore molto apprezzato in All of Us Strangers, anch’esso presentato a questa edizione del New York Film Festival, riesce a tratti a rendere denso il ruolo di Junior, la sorpresa negativa di Foe arriva purtroppo dall’attrice già candidata per ben quattro volte all’Oscar prima di raggiungere i trent’anni.

Ronan si “rifugia” dentro un repertorio di istrionismo minimalista per cercare di interpretare una Hen che risulta fin dal principio una figura femminile schematica, sia nella sua insoddisfazione esistenziale che nel modo in cui cerca di combatterla. Una figura sviluppata senza spessore, che speriamo davvero rappresenti per la Ronan una scelta sbagliata, un incidente di percorso in una carriera che vorremmo sempre all’altezza delle sue grandi doti di attrice, dimostrate fin dai tempi di Espiazione.

Questo nuovo lungometraggio di Garth Davis si presenta come un prodotto confuso nella progettazione e approssimativo nella realizzazione. Un film di fantascienza distopica che invece fantascienza proprio non è. Perché allora non scegliere la via della semplicità e raccontare una storia d’amore e di incomprensione, di passione e frustrazione? Un interrogativo a cui Foe e i suoi realizzatori proprio non hanno saputo rispondere.

Sommario

Questo nuovo lungometraggio di Garth Davis si presenta come un prodotto confuso nella progettazione e approssimativo nella realizzazione. Un film di fantascienza distopica che invece fantascienza proprio non è.
Adriano Ercolani
Adriano Ercolani
Nasce a Roma nel 1973. Laureato in Storia e Critica del Cinema alla "Sapienza", inizia a muovere i primi passi a livello professionale a ventidue anni, lavorando al tempo stesso anche nel settore della produzione audiovisiva. Approda a Coming Soon Television nel 2006, esperienza lavorativa che gli permette di sviluppare molteplici competenze anche nell'ambito del giornalismo televisivo. Nel 2011 si trasferisce a New York, iniziando la sua carriera di corrispondente di cinema dagli Stati Uniti per Comingsoon.it e Cinefilos.it - È membro dei Critics Choice Awards.

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