I bambini di Gaza: recensione di un film da vedere

È lo stesso Papa Francesco a 'benedire' l'impegno di Loris Lai, non privo di difetti ma necessario in un momento tanto drammatico.

I Bambini di Gaza

Sono quasi sei mesi che quotidianamente si parla di Gaza, delle decine e decine di migliaia di morti di civili per la guerra portata da Israele in Palestina, che sembra impossibile poter affrontare la delicata questione intorno alla quale tutto ruota – da decenni – in maniera ancora interessante. Eppure è quel che si prefigge Loris Lai, regista del film I bambini di Gaza – Sulle onde della libertà che Eagle Pictures distribuisce nei cinema di tutta Italia dal 28 marzo. Un esordio per il filmmaker pluripremiato per i suoi cortometraggi, che per debuttare nel lungo ha scelto di ispirarsi (liberamente) al romanzo per ragazzi “Sulle onde della libertà” di Nicoletta Bortolotti.

 

Una storia – sostenuta dalle musiche di Nicola Piovani – pronta già a fine settembre 2023, ma che la produzione ha scelto di congelare visti gli accadimenti di quei giorni, per riflettere, e per permettere al pubblico di accogliere al meglio l’invito alla riflessione che il film veicola. Attraverso la voce dei bambini (“rappresentano il futuro, ci insegnano, ci indicano una terza via, fatta di convivenza, di pace” dice Lai), soprattutto quella dei piccoli Marwan Hamdan e Mikhael Fridel, che con Tom Rhys Harries – in un ruolo chiave, per quanto inevitabilmente secondario – guidano un cast completato da Lyna Khoudri, Qassim Gdeh, Hussam Shadat, Yasmine Attia, Oday Saedi, Jaron Làwenberg, Ruth Rosenfeld e Jamal Sassi.

I bambini di Gaza, la trama

Striscia di Gaza, 2003. Durante la seconda Intifada, nel territorio di Gaza sono ancora presenti insediamenti israeliani. In questa realtà vive Mahmud, di 11 anni, che come tanti altri bambini palestinesi va a scuola, aiuta la madre Farah, che per lui spera in una vita diversa, gioca a ‘Israeliani contro Palestinesi’ con gli amici, e coltiva una grande passione per il surf. Tra bombardamenti quotidiani, abituato a vivere nella paura, circondato dalla morte, il surf rappresenta uno spazio di gioia e libertà. Ma l’amore di Mahmud per il surf è condiviso da un suo coetaneo israeliano, Alon, e quando si incontrano in spiaggia tra i due nasce una curiosità reciproca nonostante il contesto. Le cose cambiano quando i due bambini incontrano Dan (30 anni), un ex campione di surf la cui carriera è stata stroncata da un infortunio. Vittima di una dipendenza dagli antidolorifici, questi è in lutto per la morte della sorella, uccisa in un bombardamento mentre lavorava come medico volontario proprio sulla striscia di Gaza. L’incontro con Mahmud e Alon, e la decisione di dare loro lezioni di surf perché possano inseguire i loro sogni, darà una svolta alla sua vita. Nello stesso tempo, però, Mahmud e Alon, a causa della loro amicizia, si troveranno a fare una scelta capace di sconvolgere le loro esistenze.

I bambini di Gaza, le prime vittime

“Un grande contributo alla formazione della fraternità, l’amicizia sociale e la pace” lo ha definito Papa Francesco, al quale il film è stato mostrato. Un film di grande attualità – purtroppo – e potenza, che ha dovuto attraversare qualche difficoltà per arrivare nelle nostre sale, a partire dalla scelta di puntare su bambini palestinesi, selezionati tra i molti incontrati in Cisgiordania, tra le città di Tulkarem e Jenin, e sulla necessità di portarli in Tunisia per le riprese. Un film nel quale fossero loro i protagonisti, oltre che le vittime delle scelte degli adulti, della loro assurda osservanza di fedi religiose che ipocritamente nascondono esigenze politiche e degli opposti radicalismi.

Un concetto che il film sottolinea in maniera evidente, ponendo particolare attenzione nel mostrare tutte le facce del prisma osservato, dal colono invasato convinto della propria missione e del proprio diritto divino a occupare la terra palestinese al subdolo capo zona in cerca di bambini da radicalizzare e sfruttare come armi, ma fortunatamente anche quella di un Islam che non siamo troppo abituati a vedere raccontato, buono, che sceglie il bene e l’umanità piuttosto che l’esclusività e la presunzione dogmatica che da sempre han fatto il male di ogni religione, e del mondo.

Un equilibrio difficile, anche sullo schermo

Non facile trovare un equilibrio, tra questa esigenza e le necessità narrative di raccontare le diverse storie dei personaggi principali, adulti e giovanissimi, e del surfista Dan, figura centrale e imprescindibile per la dinamica del film, eppure debole, anche nel suo mostrarsi tormentato da una schiavitù – nel suo caso da una dipendenza – che lo rende prigioniero al pari degli altri, ognuno nel proprio territorio e nel ruolo che questo gli impone.

Un elemento in più, come detto ‘dovuto’ (alla storia e alla sua origine letteraria), che purtroppo complica ulteriormente il compito dei realizzatori, già alle prese con uno sviluppo frammentato, nel quale buoni momenti e belle sequenze si alternano a sbandamenti e al desiderio di aggiungere ricercatezza alla sostanza con scene oniriche, immagini emblematiche (marine e terrestri, con i corpi esanimi ripresi dal drone) e riprese sghembe, forse non del tutto necessarie, non tutte necessarie.

Ne risulta un puzzle di suggestioni e spunti dal ritmo tutto personale, non privo di didascalismi e retorica, ma dalla coerenza apprezzabile, soprattutto considerata la ricostruzione di una situazione tanto impossibile da semplificare, oggettivamente. Un mix al quale qualche rinuncia avrebbe giovato, probabilmente, come nel caso della danza della ragazzina, già rappresentativa della condizione femminile e dell’urgenza di raccontare la vera realtà palestinese, troppo spesso colpevolmente banalizzata e fatta coincidere con la sua faccia più facile da demonizzare, per rendere più digeribile l’orrore e facile dimenticare – o giudicare ‘da casa’ – chi vive vite intere senza sapere se si sveglierà la mattina dopo, se rivedrà ancora un parente o un amico, o abituandosi a non avere il tempo di piangere i propri morti, a metterne insieme i pezzi dopo l’ennesimo bombardamento o a camminare in una città dove sono poche le case ancora intere.

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