Il Traditore: la recensione del film di Marco Bellocchio

Il Traditore

Marco Bellocchio torna a raccontare la storia dell’Italia, e lo fa presentando in concorso al Festival di Cannes 2019 il film Il Traditore, basato sulla figura di Tommaso Buscetta, l’uomo che ha permesso di sferrare uno dei più duri colpi che si ricordi alla mafia. Il film, costruito sulle forti spalle di Pierfrancesco Favino, presenta un ritratto fedele e non indulgente sugli eventi che si snodano tra gli anni ottanta e i primi 2000, sulla figura di una personalità ambigua e di un paese diviso internamente.

 

Ha inizio nei primi anni ’80 il racconto, nel bel mezzo di una vera e propria guerra tra i boss della mafia siciliana. Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino), conosciuto come il “boss dei due mondi”, fugge per nascondersi in Brasile. Qui viene però arrestato ed estradato in Italia dalla polizia. Buscetta si trova a questo punto davanti ad un scelta, e deciderà di incontrare il giudice Giovanni Falcone e tradire l’eterno voto fatto a Cosa Nostra.

Io non sono un pentito”, sono queste le prime parole che Buscetta rivolge a Falcone, nel primo dei loro intensi incontri. Ed in queste parole Bellocchio racchiude l’intento del suo film, quello di raccontare un personaggio ricco di sfumature, ombre, segreti, ma senza trattarlo né come un eroe né come un mostro. Buscetta, lo si scoprirà, si considera fedele ai propri valori, che sono stati invece traditi da coloro che ora lui accusa. Il titolo del film allora diviene piuttosto malleabile, applicabile a più individui semplicemente cambiando il punto di vista.

L’intento di Bellocchio è interessante, ed è proprio nei momenti di più fedele rappresentazione dei fatti che si ritrova la forza del film. Nel momento in cui il regista si mette al completo servizio della storia, il film ha modo di svelare la sua forza narrativa e documentaria. Gli incontri con Falcone, le udienze del maxi processo, questi sono i momenti certamente più riusciti del film, che lasciano parlare i personaggi e tramite loro la storia di un Paese ferito e forse incurabile.

Fondamentale dunque la presenza di attori capaci di reggere un tale impegno. Pierfrancesco Favino ha qui la possibilità di confermare la sua bravura con un ruolo che lo costringe ad una fisicità ed una personalità particolarmente complesse. Egli fa proprio l’uomo Buscetta, riproponendone un ritratto umano e non imitatorio. È nelle sequenze sopra citate che esce tutto il suo carisma e il suo magnetismo, che permettono al film di acquisire un notevole valore in più.

Vi sono certamente anche momenti meno riusciti all’interno del film, e affrontando un periodo di tempo piuttosto ampio si possono riscontrare alcuni passaggi temporali bruschi. O ancora si evidenzia una forma non sempre all’altezza di alcune scene. Ciò che è certo è che ad ogni modo Bellocchio riesce nel suo intento di rappresentare in maniera quanto più possibile neutra un personaggio che ha diviso, e può ancora, dividere le opinioni.

Se Il Traditore si prende l’incarico di rimanere il quanto più oggettivo possibile sul suo protagonista, allo stesso tempo non manca di consegnare allo spettatore il ricordo di una ferita ancora aperta. Racconta la storia sottolineando il dolore, la paura, affidandosi spesso e volentieri alle più celebri immagini di repertorio. È dunque in grado di incidere nella coscienza dello spettatore, raccontando ciò che spesso si preferirebbe invece far dimenticare.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
il-traditoreSe Il Traditore si prende l’incarico di rimanere il quanto più oggettivo possibile sul suo protagonista, allo stesso tempo non manca di consegnare allo spettatore il ricordo di una ferita ancora aperta. Racconta la storia sottolineando il dolore, la paura, affidandosi spesso e volentieri alle più celebri immagini di repertorio. È dunque in grado di incidere nella coscienza dello spettatore, raccontando ciò che spesso si preferirebbe invece far dimenticare.