Presentato alla 20ª Edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, Io Sono Rosa Ricci di Lyda Patitucci tenta un’operazione ambiziosa: raccontare la genesi di uno dei personaggi più amati e controversi di Mare fuori. Prodotto da Picomedia con Rai Cinema in collaborazione con Netflix, e distribuito da 01 Distribution a partire dal 30 ottobre, il film si presenta come una storia d’origine che si inserisce nel filone ormai consolidato dei crime drama italiani.
Sulla carta, l’intento è chiaro: mostrare come la giovane Rosa Ricci — interpretata ancora una volta da una magnetica Maria Esposito — diventi la donna forte e spietata che il pubblico ha imparato a conoscere. Ma dietro la promessa di un racconto di formazione criminale, il film fatica a trovare un’identità autonoma, oscillando tra il desiderio di restituire un realismo popolare e la tentazione di inseguire i modelli seriali che lo hanno ispirato.
Una regia ambiziosa ma prigioniera dei cliché
La regista Lyda Patitucci, dopo l’esordio con Come pecore in mezzo ai lupi, conferma una certa sicurezza visiva e una sensibilità per la costruzione dell’atmosfera. Grazie alla fotografia di Valerio Azzali, Io sono Rosa Ricci alterna luci fredde e taglienti a tonalità calde e decisamente polverose, nel tentativo di restituire il contrasto tra l’innocenza perduta e la brutalità del mondo criminale.
Tuttavia il film rimane in sospeso tra la voglia di raccontare un dramma umano e la necessità di costruire un’icona. Solo in alcuni passaggi — quelli più intimi tra Rosa e il personaggio interpretato da Andrea Arcangeli — la regia si concede un respiro sincero, lasciando spazio a silenzi, e a una naturale alchimia trai due interpreti.
Maria Esposito è Rosa Ricci, la forza magnetica di un personaggio
Il cuore pulsante del film è senza dubbio Maria Esposito, che conferma la potenza del suo talento naturale. L’attrice riesce a tenere insieme fragilità e rabbia, trasformando Rosa in una figura quasi mitologica: una ragazza costretta a diventare adulta troppo in fretta, gettata in una situazione della quale non ha nessun controllo, in balia del mondo criminale c he le ha costruito intorno il padre. Il suo sguardo — smarrito, poi via via più duro — è la vera bussola emotiva del racconto.
Accanto a lei, Andrea Arcangeli offre una prova di sorprendente equilibrio: il suo personaggio diventa il contrappunto perfetto a Rosa, un riflesso della sua evoluzione. Tra i due si crea una chimica intensa e autentica, che rappresenta forse l’unico vero motore emotivo del film. Anche Raiz, con la sua presenza ruvida e carismatica, porta un tocco di autenticità e di radicamento culturale che arricchisce il quadro complessivo.
Ma al di là delle interpretazioni, Io sono Rosa Ricci sembra vivere e morire insieme alla sua protagonista. Quando Maria Esposito è in scena, tutto funziona: la narrazione si accende, la tensione cresce, e la promessa di un racconto di rinascita sembra a portata di mano. Appena si sposta il fuoco, però, il film perde compattezza e torna a galleggiare in un mare di prevedibilità.
Tra mito e realtà: un racconto che non osa abbastanza
Il soggetto firmato da Maurizio Careddu e Luca Infascelli cerca di costruire un ponte tra la serie e il grande schermo, proiettando lo spettatore in un passato che precede l’arco narrativo di Mare Fuori. L’inizio del film ci propone infatti Rosa e il padre che escono dall’IPM dopo una visita a Ciro, ancora in stato di fermo nell’istituto (non è ancora morto a seguito dell’incidente con Carmine e Filippo). Il paragone con Gomorra — nello specifico con il percorso di Gennaro Savastano — è inevitabile, ma il film non riesce a reggere il confronto. Manca il senso di minaccia reale, la tensione morale, il respiro epico che avevano reso quel racconto universale. Io sono Rosa Ricci si accontenta di replicare un immaginario, senza decostruirlo o rinnovarlo. Persino la colonna sonora — pur impreziosita dal brano originale “Vàttelo!” di Raiz e Silvia Uras, con le musiche di Paolo Baldini DubFiles — finisce per sottolineare l’enfasi più che accompagnare l’emozione.
Eppure, nel suo essere un film imperfetto e talvolta goffo, Io sono Rosa Ricci conserva una sua malinconica onestà. È un’opera che prova a dare corpo a un mito televisivo, ma si smarrisce nel tentativo di renderlo universale. Quello che resta, al termine della visione, è il volto di Maria Esposito: un volto che contiene dolore, rabbia e desiderio di riscatto. Forse non basta per fare un grande film, ma è abbastanza per ricordarci perché Rosa Ricci — nel bene e nel male — è già diventata un’icona.
Io sono Rosa Ricci
Sommario
Quello che resta, al termine della visione, è il volto di Maria Esposito: un volto che contiene dolore, rabbia e desiderio di riscatto.