Julie, agli occhi del mondo, incarna l’ideale dell’adolescente perfetta: brillante, disciplinata, determinata. È una studentessa modello e una promessa del tennis, ammirata dai coetanei e considerata la punta di diamante dell’accademia d’élite sportiva che frequenta. Per lei, il tennis non è solo una passione: Julie e la sua racchetta sembrano inseparabili, come se l’una non potesse esistere senza l’altra. Ma basta uno sguardo per intuire che qualcosa non torna. Fin dalle primissime inquadrature, i suoi occhi raccontano un’altra storia: uno smarrimento sottile, uno sguardo spento, quasi impaurito.
Con Julie ha un segreto (Julie Keeps Quiet), il regista e sceneggiatore belga Leonardo Van Dijil firma un esordio nel lungometraggio che sorprende per maturità e sensibilità. Il film, distribuito da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection, arriva nelle sale italiane il 24 aprile, dopo aver debuttato in anteprima mondiale alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2024 e in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione autonoma e parallela Alice nella Città.
La storia di Julie ha un segreto
Scatta da un lato all’altro del campo, salta, serve, schiaccia, risponde con una volée fulminea: Julie – interpretata da una sorprendente Tessa Van den Broeck, al suo debutto sul grande schermo – è una giovane promessa del tennis. Ma a testimoniarlo non è soltanto la vittoria nella categoria juniores della prestigiosa Federazione Belga: a parlare per lei sono la concentrazione tagliente, la grinta che le si legge negli occhi, la compostezza elegante con cui domina ogni scambio. In campo, Julie sembra invincibile. Intoccabile.
Finché una tragedia inaspettata scuote l’equilibrio dell’accademia d’élite in cui si allena: una morte improvvisa, inspiegabile, che coinvolge il suo allenatore, sospeso e posto sotto inchiesta per presunti comportamenti inappropriati. All’improvviso, tutto si incrina. Gli studenti vengono convocati per testimoniare, cercando di mettere insieme i pezzi di una storia frammentata, per dare un senso a un gesto estremo compiuto da una loro coetanea. Tutti hanno qualcosa da dire. Tutti, tranne Julie. Lei, che forse più di chiunque altro conosce la verità, si rifugia in un silenzio carico di tensione, che cresce scena dopo scena come un urlo trattenuto. Cosa la blocca? Cosa cerca di proteggere… o nascondere? Quale segreto ha Julie?
Il dolore raccontato attraverso ombre e omissioni
Leonardo Van Dijl mette in scena una storia fatta di silenzi, esitazioni, verità sospese. Ed è proprio in questi spazi vuoti, nei non detti, che prende forma la vera narrazione del dramma Julie ha un segreto. Il film si sviluppa come un viaggio delicato e stratificato all’interno del mondo interiore della giovane protagonista, con uno sguardo che si posa su di lei senza mai forzarla, ma accompagnandola con rispetto e misura.
I dialoghi sono ridotti all’essenziale, mentre le immagini parlano attraverso un raffinato gioco di luci e ombre, specchio fedele delle oscurità che Julie si porta dentro. Ombre di una violenza taciuta, di una perdita, di un’oppressione tanto profonda da intrappolarla proprio in ciò che le dà un’identità: il tennis. La sua ragione di vita diventa così anche la sua gabbia. Il ritmo, volutamente lento e talvolta angosciante, richiede allo spettatore la stessa concentrazione e resistenza mentale che richiederebbe una partita giocata su tre set. Ma è in questa lentezza che si annida la forza del film: ogni scelta estetica – dalle inquadrature che celano più di quanto rivelano, ai volti spesso coperti o sfuggenti, agli adulti relegati costantemente in penombra, fino a un impianto sonoro dominato dai colpi secchi della racchetta e dai gemiti dei giocatori – converge verso un disegno registico preciso e consapevole.
Un’opera che sussurra dove altri griderebbero
Con la sua opera prima, Van Dijl non cerca il clamore: intende lasciare il segno. Sussurra il dolore dove altri lo urlerebbero, scegliendo un linguaggio cinematografico che più che mostrare, osserva; che accoglie il non detto, che richiede attenzione, tempo, e una grande disponibilità all’ascolto silenzioso. Attraverso l’empatia, disegna i contorni invisibili della violenza, di quel dolore che non ha voce ma che si annida nei gesti minimi, nei silenzi, nei dettagli sfuggenti. Julie ha un segreto non è solo il racconto di una giovane atleta e delle sue relazioni complicate, ma è soprattutto una meditazione sul trauma dell’abuso e sul processo – lento, faticoso, intimo – della sua elaborazione.
Mentre il mondo intorno a lei scalpita, Julie si rifugia nel silenzio. Non per codardia o fuga, ma per protezione. Si prende il diritto di non parlare, di non spiegare, di non rispondere subito. E Van Dijl, con rara sensibilità, ci chiede di rispettare questa scelta, di non forzare una confessione. Il film si fa allora non solo narrazione, ma invito: a rallentare, a osservare davvero. Ci insegna che la verità, quella profonda, non sempre passa per le parole, ma può rivelarsi nei movimenti del corpo, nello sguardo abbassato, in una routine che si ripete ostinatamente per mantenere un equilibrio fragile. In questo senso, il regista compie un gesto audace e controcorrente: rifiuta le scorciatoie emotive, l’esposizione didascalica del dolore, e costruisce un cinema dell’implicito, della pazienza, della sospensione. Un cinema che non risponde subito, ma che resta.
Allora cosa penalizza davvero l’opera Julie ha un segreto? Paradossalmente, è proprio la nostra disabitudine alla lentezza e all’implicito. In un tempo in cui tutto deve essere immediato, chiaro, dichiarato, l’assenza di spiegazioni esplicite può risultare frustrante e sminuente. Il segreto di Julie non viene mai raccontato apertamente: lo si intuisce, lo si percepisce.
Ed è qui che il film, pur nella sua potenza, può incontrare un limite non interno ma esterno: non tutti gli spettatori sono più disposti, abituati o capaci di ascoltare i silenzi, di cogliere l’invisibile, di entrare in sintonia con un ritmo che chiede, prima di tutto, pazienza. Ma per chi accetta questa sfida, Julie ha un segreto non è solo un film: è un’esperienza, un atto di empatia, e forse anche una lezione su come guardare, su come ascoltare, e su come, a volte, il non detto possa comunicare più forte di qualunque parola.
Julie ha un segreto
Sommario
Julie ha un segreto è un’opera prima silenziosa e profonda, che racconta il trauma attraverso l’implicito, i gesti minimi e l’osservazione empatica. Van Dijl costruisce un cinema della lentezza, che rifiuta il sensazionalismo e chiede pazienza. Il dolore non viene spiegato, ma percepito.