La città proibita, recensione del film di Gabriele Mainetti

Distribuito da Piper Film, il film è uno sforzo produttivo di collaborazione tra Wildside, PiperFilm e Goon Films.

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Gabriele Mainetti torna al cinema con La città proibita, un’opera ambiziosa che mescola generi e suggestioni con la consueta consapevolezza, confermando la sua intenzione di portare avanti un’idea di cinema spettacolare e profondamente radicato nella contemporaneità. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out, il regista romano ci accompagna in una Roma ibrida, viva, in perenne trasformazione, raccontando una storia di vendetta, amore e riscatto, vibrante di adrenalina

 

La trama de La Città Proibita

In un villaggio tra le montagne della Cina, due bambine si allenano con il padre che insegna loro delle mosse di kung fu. Molto anni dopo incontriamo Mei, una delle due ormai cresciuta, protagonista di una scena d’azione mozza fiato degna del miglior Bruce Lee, mentre si difende da un gruppo di malavitosi e cerca sua sorella. Sembra di essere in un qualsiasi localaccio di Shanghai, e invece siamo nel coloratissimo all’Esquilino, nel cuore di Roma. Mei incontra Marcello e, involontariamente, il loro destino si lega per quella che sarà l’avventura che cambierà per sempre le loro vite.

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Il più grande pregio di la città Proibita è quello di trovare un buon equilibrio tra l’anima romanesca che il regista aveva già raccontato nei suoi film precedenti, così come le persone che vivono ai margini, e la sua grande passione per i film di kung fu e i revenge movie, elemento che costituisce poi il centro action del racconto.

La Città Proibita – Yaxi Liu – foto © Andrea Pirrello

Un equilibrio trai generi non sempre al servizio della storia

Il film ha la grande capacità di passare senza soluzione di continuità dalla commedia al dramma, dal melodramma al film di arti marziali, sempre con grande coerenza e senza mai risultare forzato. La scrittura, firmata da Mainetti stesso insieme a Stefano Bises e Davide Serino, diventa più sincera e lineare, rispetto ai film precedenti, anche se spesso si nota un compiacimento per la bellezza e l’adrenalina di alcune scene che però non servono la storia, sfociando nel risultato opposto di allontanare lo spettatore anziché tenerlo incollato allo schermo.

Le scene di combattimento, curate dal fight coordinator Liang Yang, elevano le scene d’azione a un livello tecnico competitivo con chi questi film li realizza continuamente, anche perché quando si tratta di azione, Mainetti sa il fatto suo: le scene in cui il protagonista è il kung fu sono fluide, creative e perfettamente integrate nella narrazione, anche se talvolta troppo lunghe e compiaciute.

Mei e Marcello protagonisti irresistibili

In questo crogiolo di riferimenti, sfumature e culture, Gabriele Mainetti sceglie due volti memorabili: Enrico Borello e Yaxi Liu, come eroi semi-romantici di questa storia. Lui, visto in molti altri progetti, tra cui Lovely Boy e il recente Familia, sorprende con una dolcezza e un incanto negli occhi che fanno tenerezza al primo sguardo, non si può non fare il tifo per il suo Marcello. Lei, letale e sottile, è stata la controfigura di Liu Yifei nel Mulan in live action della Disney e “mena come un fabbro”. Non solo, il suo viso pulito sono una rappresentazione perfetta della grinta e della dedizione che Mei, il suo personaggio, mette nel perseguimento dei suoi obbiettivi. Due opposti che trovano il modo di incontrarsi e incrociarsi, in mezzo a un inferno che nessuno dei due ha cercato. A completare il cast intervengono Sabrina Ferilli e Marco Giallini.

La Città Proibita – da sinistra Sabrina Ferilli e Marco Giallini – foto © Andrea Pirrello

Ma Roma nei film di Mainetti è sempre protagonista e così da quella multietnica dell’Esquilino a quella da cartolina dei Fori Imperiali, la Città Eterna fa bella mostra di sé, diventando lo scenario perfetto per questa narrazione. L’Esquilino, con le sue bancarelle, i ristoranti cinesi e le trattorie romane, diventa il palcoscenico perfetto per raccontare un mondo in continua evoluzione. E Mainetti non si limita a rappresentare questa realtà, ma la esalta, mostrandone la bellezza e la complessità.

La città proibita non è solo un film d’azione o una storia d’amore: è un manifesto di come Gabriele Mainetti intende il suo cinema. E nel bene e nel male è ormai una cifra stilistica distintiva, con la sua ricchezza di riferimenti ma anche l’autocompiacimento, lo stile impeccabile e la mancanza di umiltà per mettersi al servizio della storia. Il film si impone come uno dei più interessanti delle prossime settimane al cinema, dal 13 marzo in sala con PiperFilm con anteprime l’8 marzo in anteprima.

La città proibita
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Sommario

La città proibita non è solo un film d’azione o una storia d’amore: è un manifesto di come Gabriele Mainetti intende il suo cinema.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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