La coda del diavolo: recensione del film con Luca Argentero

Attingendo dalla materia letteraria, il regista costruisce un classico thriller dalle sfumature noir, in cui la dicotomia fra bene e male è al centro del racconto

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A Luca Argentero, con una carriera alle spalle di vent’anni, mancava – come lui stesso ammette – un progetto con Groenlandia. È stato questo uno dei motivi che lo ha spinto ad accettare di ricoprire il ruolo del protagonista Sante Moras in La coda del diavolo, nuovo film Sky Exclusive in arrivo sulla piattaforma dal 25 novembre. Una collaborazione partita dalla lettura del romanzo omonimo di Maurizio Maggi, nel quale è ritratto un uomo che ben si allontana dai personaggi che hanno costellato l’esperienza cinematografica dell’attore torinese, diventando così una sfida e un’occasione da cogliere. Argentero, in questo viaggio fra la ricerca di sé e la salvezza, è stato accompagnato da due ottimi comprimari, Cristiana dell’Anna e Francesco Acquaroli.

 

Insieme al suo Sante, sono personaggi che tessono le fila di un thriller dalle tinte noir, e definiti dal regista Domenico De Feudis come tre solitudini che cercano la propria strada, affrontando le loro più intime paure. Tre ritratti che però non emergono mai come dovrebbero nella storia, e il cui background rimane per lo più sconosciuto, faticando a dargli delle vere sfaccettature. La coda del diavolo si basa su una sceneggiatura di Nicola Ravera Rafele e Gabriele Scarfone, ed è prodotto da Matteo Rovere e Andrea Paris.

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La coda del diavolo, la trama

Sante Moras è un ex poliziotto ora guardia carceraria in un carcere della Sardegna. È un uomo solo, che trascorre il suo tempo libero ad aggiustare una barca a cui è estremamente legato. Un giorno viene arrestato un uomo colpevole di aver ucciso a sangue freddo una giovane davanti a due poliziotti, e dietro questo delitto sembra celarsi una verità atroce, legata in principal modo a una sorta di tatuaggio che la ragazza porta dietro il collo e che assomiglia alla coda di un diavolo. Sante viene incaricato di sorvergliarlo, ma quando all’improvviso si addormenta, al suo ritorno il detenuto nella cella è stato ucciso. In preda alla paura di essere dichiarato colpevole, l’ex poliziotto scappa, autocondannandosi. A inseguirlo è il commissario Tommaso Lago, determinato a trovarlo e portarlo davanti alla giustizia. Sante, però, capisce che l’unico modo per tornare alla normalità è scavare fino in fondo nella verità: ad aiutarlo sarà la giornalista Fabiana Lai, che non si fermerà all’apparenza delle cose ma guarderà oltre, per stanare i veri assassini, scoprendo una realtà ancora più oscura.

La coda del diavolo film

Caccia all’uomo in una fredda Sardegna

Inabissarsi in un film di genere non è mai semplice. Ogni tassello deve incastrarsi bene nel puzzle finale. L’equilibrio è sempre precario, e bisogna che la tensione abbia un costante crescendo se si indossano gli abiti di un thriller-noir come La coda del diavolo. Per quanto sia esemplare la performance di Luca Argentero, il cui impegno è percepibile, a questa pellicola manca il giusto coinvolgimento per convincere a pieno. L’incipit è fuor di dubbio buono: un uomo solido ma con diversi fantasmi viene incolpato di un crimine che non ha mai commesso. Mentre cerca di fuggire da un immeritato destino deve fare i conti con se stesso e il suo passato, due elementi che lo hanno ingrigito. Una trama classica, in cui si intrecciano mafia, redenzione, riscatto, e dove la dicotomia fra bene e male impregna ogni angolo della narrazione. Peccato, però, che a livello di esecuzione non tutto ingrani come dovrebbe: a volte si è inondati dalla sensazione che manchi qualcosa nel racconto, o che ci siano dinamiche messe al margine. L’aspetto criminoso non si approfondisce, è un contorno offuscato, trasformandosi solo in un pretesto per il progresso delle azioni dei personaggi.

L’action non è mai pienamente intrattenitivo, facendo calare l’attenzione sulla scena che si sta guardando (e che dovrebbe essere adrenalinica). Anche sulla caratterizzazione dei personaggi la sceneggiatura ha faticato a metterli a fuoco come ci si aspetterebbe da un film di genere, specie se sono le colonne portanti attraverso cui si esplicano le tematiche che si vogliono affrontare. Per affezionarsi ai protagonisti sullo schermo non basta calarli in un contesto minaccioso, ma serve sapere quali sono i loro demoni nell’armadio, quali le loro preoccupazioni, cosa li soffoca e le ragioni concrete che li spingono a reagire in un determinato modo. Incontrando gli attori, Cristiana dell’Anna ha dichiarato che la sua Fabiana è una di quelle giornaliste che guardano al di là del pregiudizio, che scavano nella verità con le unghi e con i denti senza preoccuparsi della loro incolumità. Tuttavia il personaggio non respira mai totalmente, soffocato forse da tempi troppo stretti. Lo stesso si può dire di Sante e e il commissario Lago, la cui storia oltre quel che si vede è nascosta nell’ombra. Il risultato è un prodotto che funziona a metà. Spesso zoppicante, che avrebbe meritato un minutaggio differente per farlo apprezzare meglio.

La coda del diavolo
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Sommario

Una trama classica, in cui si mischia mafia, redenzione, riscatto, e dove la dicotomia fra bene e male impregna ogni angolo della narrazione. Peccato, però, che a livello di esecuzione non tutto ingrani come dovrebbe: a volte si è inondati dalla sensazione che manchi qualcosa nel racconto, o che ci siano dinamiche messe al margine.

Valeria Maiolino
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano. Articolista su Edipress Srl, per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”.

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