Marion Cotillard nel ritirare l’Oscar come miglior attrice protagonista per La vie en rose nel 2007 ha ringraziato con parole commosse il regista Olivier Dahan: “Maestro Olivier, hai davvero sconvolto la mia vita!”. Dal canto suo, anche Dahan deve molto all’attrice che gli ha permesso di emergere nettamente dopo I fiumi di porpora 2 – Gli angeli dell’apocalisse ed ha aperto la strada alle sue future esplorazioni dell’universo femminile, come quella in Grace di Monaco. L’Academy ha premiato anche il trucco di Didier Lavergne e Jan Arcibald, che ha trasformato il volto dell’interprete affinché si avvicinasse il più possibile alla Piaf.

 

La vie en rose, i premi vinti

Non è stata solo l’Academy a premiare Cotillard, che ha ottenuto il Golden Globe e il BAFTA per la sua potente performance di attrice. BAFTA anche per il trucco, i costumi di Marit Allen e la colonna sonora di Christopher Gunning. In patria il film ha fatto incetta di César con il premio per Marion Cotillard come miglior attrice protagonista, per la fotografia di Tetsuo Nagata , la scenografia di Olivier Raoux e i costumi.

Olivier Dahan e la sua Piaf lontana dal mito

Dahan non vuole fare della Piaf un mito. La sua Piaf è una donna minuta nel fisico, fragile dal punto di vista emotivo, proprio come il suo nome d’arte suggerisce – Piaf: passerotto. Una donna che ha sperimentato il dolore, le difficoltà di un’infanzia e una giovinezza difficili, la vita di strada. La sua età adulta è segnata da grandi amori – nel film soprattutto di quello per il pugile Marcel Cerdan (Jean -Pierre Martins), morto tragicamente – e grandi delusioni, oltre che dalla malattia e dalla conseguente dipendenza da farmaci. Tuttavia, Piaf è anche una donna piena di energia, di passione che mette al servizio della sua dote più grande: il canto, magnetico e intenso grazie a una voce potente e ad una capacità di interpretare che proprio dalla sua travagliata esistenza trae forza.

Dahan coglie e palesa questo contrasto, conducendo lo spettatore tra gli alti e bassi della vita della cantante, cui attinge liberamente. Mai schiavo dell’ordine cronologico, ma neppure vittima di un errare caotico, sceglie accuratamente i momenti e le figure più significativi, posizionandoli ad hoc con abile uso del flashback. Tra le figure centrali, Gerard Depardieu nel ruolo di Louis Leplée, primo impresario della giovane Edith, che sceglierà per lei il nome di “Piaf”.

L’interpretazione di Marion Cotillard ne La vie en rose

Una prova difficile ed emotivamente intensa per l’attrice francese, che però ha saputo condurla con sicurezza, svolgendo un grande lavoro sul corpo: non solo sul volto, che ha richiesto lunghe sedute di trucco, senza però intaccare la capacità espressiva dell’attrice, ma sulla postura, via via sempre più curva a causa dell’artrite deformante di cui Piaf soffriva, sulle movenze, che ha reso estremamente credibile il personaggio. Lavoro che non ha risparmiato la voce, con la scelta di  un timbro piuttosto sporco, retaggio dei bassi da cui la cantante proveniva.

L’adesione di Cotillard al personaggio l’ha condotta, come ha dichiarato, alla difficoltà ad abbandonarlo: “E’ stata la prima volta in cui ho avuto problemi nel liberarmi dal personaggio”. “ Avevo trascorso sei mesi con lei e sono entrata davvero in un’altra dimensione”. “Quando fai un film passi tanto tempo con questa persona (il personaggio ndr). In un certo senso te ne innamori. Poi, arriva l’ultimo ciack e non condividerai più la tua vita con lui. A volte può essere brutale”.

Piaf e Jil Aigrot cantano Piaf

L’interpretazione dell’attrice non è per nulla sminuita dal fatto che non sia lei a cantare. A darle voce al microfono con straordinaria adesione è l’interprete francese Jil Aigrot, in tutti i brani di cui non è stato possibile utilizzare una versione cantata dalla stessa Piaf. La voce originale della Piaf si può apprezzare in brani come La vie en rose, L’hymne a l’amour, Non, je ne regrette rien, Milord tra gli altri. Così Cotillard parla di questo aspetto del lavoro in un’intervista: “E’ stata la parte più dura della preparazione”. “Ho voluto prendere lezioni di canto, anche se nel film non avrei cantato. Volevo imparare la sua tecnica, come posizionare la lingua, come posizionarmi sul palco, la respirazione e così via. Perché doveva essere realistico. Se non credi che io stia cantando, allora puoi gettare il film nella spazzatura”.  Un rischio che La vie en rose non corre.

Non, je ne regrette rien e l’invito ad amare

Non, je ne regrette rien è indubbiamente il brano più toccante, vero e proprio testamento di Edith Piaf, che guardando indietro alla propria vita, segnata dal dolore ma anche dal successo e da una popolarità senza precedenti, rivendica le proprie scelte con forza, sempre confidando nell’amore. E’ proprio questo il messaggio che la protagonista lascia in una delle sue ultime interviste: “Che consiglio darebbe a una donna?” “Ama” “A una ragazza?” “Ama” “A una bambina?” “Ama”.

Sull’onda di questo invito, Olivier Dahan affida a Marion Cotillard la costruzione di un finale commovente per La vie en rose, un film che svela la Piaf donna accanto all’idolo della canzone, coinvolgendo lo spettatore con la sua umanità.

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Scilla Santoro
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Scilla Santoro
Giornalista pubblicista e insegnate, collabora con Cinefilos.it dal 2010. E' appassionata di cinema, soprattutto italiano ed europeo. Ha scritto anche di cronaca, ambiente, sport, musica. Tra le sue altre passioni, la musica (rock e pop), la pittura e l'arte in genere.
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