La recensione di Lightyear – La vera storia di Buzz comincia con una premessa, che lo spettatore troverà in testa al film. La pellicola che si sta per vedere, basata sul personaggio di Toy Story, è il film da cui è stato tratto il giocattolo di Buzz Lightyear, e scopriamo quindi che in realtà è il personaggio di Toy Story che è basato sul character del film in questione! È come se questo film fosse lo Star Wars di Andy che, tornato a casa, chiede ai genitori l’action figure di Buzz. Questa specifica non intacca certo la magia del capolavoro (dell’intera saga) Pixar, ma ci aiuta a collocare Lightyear – La vera storia di Buzz nel tempo, vedremo come.
Lightyear – La vera storia di Buzz, la trama
La storia racconta di Buzz, uno space ranger che si fa carico di una missione impossibile (apparentemente): raggiungere l’iper-velocità. Questo sforzo però ha un costo altissimo, ogni volta che Buzz si imbarca per un viaggio test, al suo ritorno si accorge che, mentre per lui la missione è durata pochi minuti, sono passati 4 anni per quelli che sono rimasti a terra. Completamente preso dal desiderio di completare la missione, la ripete fino a che da una parte perde le persone che ama, perché queste crescono vivono e invecchiano, dall’altra però riesce a completare la missione. Raggiunge l’iper-velocità, per poi scoprire, al suo ritorno, che sono passati molto più di 4 anni, e si trova in un mondo deserto e assediato dai robot, in cui la sua nuova missione diventerà abbattere una misteriosa astronave che sovrasta il Pianeta.
Ambientazione anni ’80 e piglio contemporaneo
Come anticipato nella nostra premessa, il film è dunque un’avventura di fantascienza anni ’80, per cui la recensione di Lightyear – La vera storia di Buzz tiene conto principalmente del fatto che alla Pixar hanno tentato di ri-raccontare quel gusto per l’avventura, cercando di replicarne lo spirito ma inserendo nella storia un mood moderno, che meglio si sposa con il tipo di storie che il pubblico vuole sentire oggi.
E così abbiamo un eroe che non riesce a fare tutto da solo e deve imparare a collaborare con gli altri, una coppia LGBTQ, una squadra di comprimari formata da una ragazzina, un uomo goffo che non è in grado di capire le sue capacità, una signora anziana che piuttosto che stare in prigione, preferisce arruolarsi in una squadra di cadetti space-ranger, un gatto robot sarcastico e super-accessoriato.
La fascinazione per lo spazio, gli echi nei design di astronavi e robot, la vera e propria dinamica dell’avventura, la missione spaziale, la salvezza del mondo, tutti questi tropi della fantascienza anni ’80 vengono quindi trasformati a contatto con dei personaggi dallo spirito moderno, che divertono e fanno emozionare lo spettatore.
Accettare i proprio limiti e la sconfitta
Certo, questo Buzz è molto diverso dallo space ranger giocattolo. Se quel personaggio si muoveva, almeno nel primo film, sulla contraddizione tra l’essere un giocattolo e il sentirsi un vero space-ranger, questo Buzz è un uomo vero e proprio, ha insicurezze, senso di responsabilità, e intraprende un viaggio dell’eroe che, seguendo la narrativa contemporanea della normalizzazione delle persone eccezionali che abbiamo trovato in diversi racconti prima di questo, fa di lui stesso un felice perdente, in quanto gli fa accettare il suo fallimento e lo mette in condizione di capire e abbracciare i propri limiti. Non che l’accettazione di sé sia un messaggio sbagliato, anzi, è fondamentale in un momento storico in cui la società sembra chiedere sempre più di quanto possiamo dare, tuttavia sembra si sia anche perso il gusto per guardare in alto, verso l’infinito e oltre, appunto, preferendo fermarsi a guardarsi le scarpe.
Certo, non è esattamente quello che fa Buzz, visto che lui e i suoi amici combattono con tutte le loro forze, tuttavia in Lightyear – La vera storia di Buzz, anche un eroe deve accettare i suoi limiti e questo fa molto poco anni ’80.
La fine dell’eroe testosteronico
La ri-narrazione della mitologia del protagonista testosteronici è forse ciò che di più interessante e meta c’è nel film di Angus MacLane (Alla ricerca di Dory), insieme a un guizzo di genio nella scrittura dei personaggi di contorno e in quel Sox, il gattino robot, che si posiziona a metà strada tra un animale da compagnia vero e proprio, un coltellino svizzero super accessoriato, un computer portatile e uno psicologo, il tutto condito con la devozione e la fedeltà di un cane. Tutto questo in un solo personaggio! Non a caso la Disney è nota per le sue “spalle animali” che spesso tolgono la scena al protagonista.
Tecnicamente sopraffino, il film si distingue per un gioco di rimandi e citazioni con le pellicole che lo ispirano, gli sci-fi anni ’80 e dei quali è discendente diretto e fintamente contemporaneo. Questo occhio al passato è però mitigato da una serie di personaggi moderni, perfetto specchio di ciò che si sente l’esigenza di racontare oggi.
Lightyear – La vera storia di Buzz arriva nelle sale italiane il prossimo 15 giugno, il primo film Pixar, dal pre-pandemia, ad uscire al cinema e non direttamente su Disney+.
Lightyear - La vera storia di Buzz
Sommario
Tecnicamente sopraffino, il film si distingue per un gioco di rimandi e citazioni con le pellicole che lo ispirano, gli sci-fi anni ’80 e dei quali è discendente diretto e fintamente contemporaneo. Questo occhio al passato è però mitigato da una serie di personaggi moderni, perfetto specchio di ciò che si sente l’esigenza di raccontare oggi.