L’invenzione di Noi Due: recensione del film di Corrado Ceron

In sala dal 18 luglio la nuova opera del regista italiano

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L’invenzione di Noi Due, il nuovo progetto del regista italiano Corrado Ceron arriva nelle nostre sale a partire dal prossimo 18 luglio. Il film, distribuito da Be Water, Medusa, è un dramma sentimentale di 110 minuti che ben si inserisce all’interno del proprio filone di riferimento.

 

Tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Bussola e presentato in anteprima al Festival di Taormina 2024, il film è stato sceneggiato da Federico Fava, Valentina Zanella, Paola Barbato e dallo stesso Bussola e gode delle musiche di Lorenzo Tomio e Pasqua Maddalena.

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Protagonisti dell’opera sono gli attori Lino Guanciale e Silvia D’Amico. Coppia attoriale alla quale vanno ad aggiungersi Francesco Montanari, Paolo Rossi, Diego Facciotti, Emanuele Fortunati ed Elisabetta De Gasperi.

L’invenzione di Noi Due: la trama

Milo e Nadia, conosciutisi (letteralmente) sui banchi di scuola e sposati da diversi anni, si ritrovano ad affrontare una crisi profonda del loro rapporto. La loro quotidianità è ormai appiattita, la comunicazione scarsa e l’intesa sembra svanita. Nadia, in particolare, appare distaccata e infelice, mentre Milo, ancora innamorato, non riesce a rassegnarsi alla situazione. Incapace di accettare la fine del loro amore, Milo escogita un piano originale per riconquistare Nadia, inizia a scriverle lettere anonime, firmandosi con un nome inventato.

Nelle missive, Milo riversa i suoi sentimenti più profondi, raccontando storie inventate e descrivendo un uomo ideale che sembra rispecchiare le qualità che Nadia ammirava in lui all’inizio della loro relazione. Intrigata da queste misteriose lettere, Nadia si ritrova a fantasticare sul “partner” attratta dalla sua sensibilità e dalla sua attenzione e dando così vita a una fitta corrispondenza epistolare che riaccende in lei emozioni sopiste e un desiderio di evasione dalla sua vita monotona. Tra dubbi, speranze e una linea temporale continuamente frammentata da flashback le esistenze intrecciate dei due si svelano a poco a poco; anche se, ogni giorno che passa, la situazione sembra farsi sempre più complicata. Fino a quando…

L’invenzione di Noi Due: frammenti sparsi

È un film di frammenti L’invenzione di Noi Due di Corrado Ceron. Un film spezzato, puzzle da ricomporre in attesa di un’immagine chiara, chiamata a formarsi di minuto in minuto, con pazienza. Film che nel frammento trova forma e sostanza, ritrovandosi a saltellare tra linee temporali differenti, legate da una voce che attraversa il continuum e destinate a convergere nel segno di un amore sbiadito, andato corrodendosi nel corso degli anni.

Un’opera drammatica, scavata nel volto disorientato del suo protagonista (un bravo Lino Guanciale). Un’opera di detti e non detti e sconfortante solitudine, basata su una delicata poetica del ri-conoscersi. Un lavoro che recupera la dimensione epistolare dell’omonimo romanzo da cui è tratto per traslarla su grande schermo e farne immagine analogica; macchiando prima la superficie di un vecchio banco scolastico e sostituendo poi “l’inchiostro” con un fitto, ma rallentato, scambio di mail – consentendo così a un sentimento a lungo sopito di ritrovare vigore proprio nella distanza da quella messaggistica istantanea che contraddistingue la modernità.

L’invenzione di Noi Due: una gabbia di parole

L’invenzione di noi due è dunque romantic-drama atipico nella sua convenzionalità. Che lavora di ricomposizioni, di aggiustamenti impossibili. Che pesca dalla tradizione del genere per poi sviluppare una sorta di negativo del C’è posta per te di Nora Ephron – tornando cioè a ragionare sul potere salvifico delle parole, ma abbandonando la componente giocosa del film del ’98 a favore di sfumature di crescente rassegnazione esistenziale.

Ed è qui, paradossalmente, che il film di Ceron semina i germogli della propria inefficacia. In quella ragnatela di frasi ad effetto e citazioni filosofiche che arrivano a dipingere un quadro di coppia quasi esasperante, una prigione da cui è impossibile evadere e da cui l’immagine non riesce a svincolarsi. Una vera e propria gabbia nella quale il (non) rapporto d’amore tossico venuto a crearsi tra i due innamorati prolifera senza particolari ostacoli designando un rapporto sbilanciato e mai realmente conscio della propria natura e della dilagante ambiguità che lo caratterizza. Una gabbia che neanche la figura del fratello di Milo o quella del venditore di modellini di treni che osserviamo in un paio di scene – entrambi protagonisti di momenti delicati e particolarmente azzeccati proprio perché parzialmente slegati dalle atmosfere “da cioccolatino” che pervadono buona parte del film – riescono a salvare l’opera da un finale mortificante, dominato da egoismi e inconsapevoli sconfitti.

Con buona pace di un romanticismo “su carta” che, come Milo, sembra non voler accettare il suo triste, ma inevitabile deteriorarsi. “Questa è la storia di come mi sia riuscito di tramutare l’amore in cenere, poi la cenere di nuovo in amore”.

Sommario

Un'opera che ben ragiona di frammenti, ma che ingabbia l'immagine in una rete di parole e aforismi filosofici di complicata digeribilità
Dario Boldini
Dario Boldini
Laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, ha collaborato con l'Associazione Culturale Lo Sbuffo a partire dal 2019, scrivendo articoli e approfondimenti sul mondo dello spettacolo. Ha poi frequentato la specializzazione in Critica cinematografica presso la rivista e scuola di cinema di Sentieri Selvaggi di Roma, con la quale collabora dal 2022. Appassionato di cinema e serie tv, collabora con Cinefilos dal 2023. A partire dal 2022 ha partecipato a diversi festival cinematografici su territorio nazionale, tra cui quelli di Venezia, Roma, Torino, Bergamo e Trieste.

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