Men, recensione del nuovo film di Alex Garland

In concorso alla 54° edizione della Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2022, il film arriverà nei cinema italiani nel corso dell'estate.

men recensione

È di film come Men, ultimo di Alex Garland, che abbiamo bisogno ora. E ciò non significa necessariamente apprezzarlo, in quanto si tratta di un’opera che spesso si spinge verso gli estremi. Che Men piaccia o meno alla critica oppure incontri il favore del pubblico, si tratta comunque di un lavoro che costringe lo spettatore a non subire passivamente quanto gli viene proposto, che lo mette alle corde e richiede lui un sforzo emozionale e psicologico non indifferenti. 

 

Men: un vortice di violenza per Harper

Dopo aver affrontato la fantascienza con Ex-Machina e Annientamento – quest’ultimo a nostro avviso enormemente sottovalutato, soprattutto se si è letto il romanzo di Jeff VanderMeer da cui è tratto – Garland scivola dell’horror psicologico raccontando la storia di Harper (Jessie Buckley), la quale dopo aver perso il marito suicidatosi alla vigilia del loro divorzio sceglie di rintanarsi per qualche giorno in un cottage di campagna. Qui incontra una serie di uomini (tutti interpretati da Rory Kinnear) sempre più enigmatici e minacciosi, i quali pian piano precipiteranno la protagonista in un vortice di violenza e orrore.  

Alex Garland aveva già dimostrato con due precedenti film di non essere un purista del genere, e non Men ribadisce che non intende  esserlo. Al contrario preferisce imporre la sua visione, contaminando in questo caso le regole estetiche dell’horror attraverso una messa in scena che, soprattutto nella prima parte, si fa elegante e foriera di un ritmo interno alla narrazione tutto particolare. Sembra quasi che il cineasta in alcune scene adoperi il montaggio per sviluppare una pausa del racconto e mostrare invece la bellezza dell’immagine, delle ambientazioni. Era già accaduto in Annientamento con risultati almeno visivamente notevoli, mentre con Men arriva a ottenere una fusione di forma e narrazione ancor più coerente. La discesa all’inferno della protagonista viene mostrata attraverso una progressione narrativa tanto affascinante quanto “oscura”: a Garland non interessa che il pubblico capisca pienamente la logica degli eventi, preferisce al contrario lasciargli scegliere come riempire i vuoti di senso, piazzati appositamente per fargli vivere l’irrazionalità e la tensione dell’orrore.

Alex Garland non si tira indietro

Sotto questo punto di vista Men possiede a nostro avviso echi lontani eppure presenti di Antichrist, uno dei film più riusciti di Lars von Trier che raccontava l’oppressione dell’uomo sulla donna lavorando su simbolismi atavici di enorme impatto. Come a suo tempo  il cineasta danese, anche questa volta Garland non si tira indietro quando si tratta di scuotere, spaventare, metterci di fronte a un orrore che portiamo sulle spalle come istituzione sociale, che permea il tessuto primo della nostra quotidianità. Prima di lasciare che il portentoso crescendo narrativo esploda, Men ci testimonia con estrema lucidità quanto una donna possa ancora oggi essere circondata da un ambiente maschile misogino e tossico, il quale può diventare pericoloso proprio perché sostenuto dalla tranquillità del vivere quotidiano. 

Se a Garland è riuscito a sfornare con Men un piccolo grande gioiello cinematografico, lo deve in gran parte anche a due protagonisti perfetti. In passato il regista/sceneggiatore di era già dimostrato ottimo direttore di attori, ma stavolta si supera ottenendo da Jessie Buckley e Rory Kinnear una prova capace di arrivare all’essenza dei rispettivi personaggi e riproporla in tutta la sua forza devastante. L’attrice già molto apprezzata in I’m Thinking of Ending Things e La figlia oscura tratteggia il dolore e il progressivo spaesamento di Harper con poche, precise pennellate.

Una prova intensa e impegnativa per Jessie Buckley e Rory Kinnear

Il linguaggio del corpo trattenuto, lo sguardo spesso sospeso sviluppati dalla Buckley raccontano del personaggio molto più di eventuali momenti inutilmente drammatici. Un’interpretazione di valore proprio perché efficacemente sobria, in ammirevole controtendenza con quanto richiesto di solito dall’horror. Dal canto suo Kinnear sfrutta ogni grammo del corpo, ogni centimetro della pelle, ogni espressione del volto per comporre esseri umani al limite, anche quelli più comuni. Come i grandi caratteristi sanno fare, modella tutti questi “tipi fissi” attraverso variazioni che li differenziano e insieme li accomunano dentro la definizione di maschio/adulto contemporaneo, con tutta la necessaria ambiguità del caso. 

Come scritto all’inizio, Men non è cinema semplice, tutt’altro. È l’opera visionaria di un autore – adesso pensiamo davvero di poterlo chiamare in tal modo – il quale adopera il genere esplicito al fine di raccontare un presente ancora purtroppo terrificante. Alex Garland ha probabilmente capito come strappare la superficie del nostro oggi e rendere visibili i mostri che esso ancora tenta di celare. E di questo non possiamo che essergli grati. 

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