Siamo nei primi anni sessanta. La morte dell’anziano marito, rinomato sarto di un piccolo borgo nel meridione d’Italia, trascina nell’incubo della violenza e del pregiudizio la moglie Rosetta (Maria Grazia Cucinotta) e la giovane figlia Sofia (Marta Gastini). L’avidità di un sordido assessore comunale (Ninni Bruschetta) che vuole portare facili guadagni al piccolo centro distruggendone la storia ed il territorio, scatenerà contro le due donne tutta la perfidia degli abitanti del paese corrotti, anche loro, dalle promesse dell’assessore.
Dopo due
anni di difficile lavorazione, La moglie del
sarto di Massimo Scaglione, esce
finalmente nelle sale italiane. La data da tenere a mente per il
debutto di questa fiaba agrodolce è il 15 Maggio 2014. Una fiaba
perché la storia che Scaglione ci propone pare
sospesa in una dimensione senza tempo, come senza tempo è purtroppo
uno dei temi centrali del film: la violenza ed il pregiudizio nei
confronti delle donne, a maggior ragione se giovani, belle e con
l’ambizione di rendersi indipendenti anche lavorando in professioni
un tempo appannaggio maschile (in questo caso la sartoria per soli
uomini). Il film è stato girato in Calabria tra Praia a Mare,
Fiumefreddo Bruzio, Scalea, Limbadi e Cosenza ma all’interno della
storia non vi sono riferimenti ad un luogo specifico e questo è un
altro elemento che la pone in una dimensione quasi leggendaria. I
personaggi dei pupari, inoltre, sono caratterizzati anch’essi come
personaggi fantastici, una via di mezzo tra zingari e briganti,
detentori di un’arte che ha quasi a che vedere con la magia e che
viene tramandata esotericamente (il maestro di Salvatore è
interpretato da Tony Sperandeo in una scena breve
ma molto suggestiva). Un’altra tematica importante del film è
l’amore della madre per la figlia interpretato in modo toccante da
Maria Grazia Cucinotta che da vita ad un
personaggio femminile con un’indomabile forza interiore, capace di
portare a compimento un estremo sacrificio per la felicità della
figlia. Scaglione afferma che La
moglie del sarto vuole essere il suo inno alla vita,
alla procreazione e alla ricchezza umana, alle lotte e alla
speranza. Egli ha voluto dare voce agli offesi, che il più delle
volte sono donne, umiliate da un cinismo mortale ma anche un
appello agli uomini, affinché non si smarrisca e non dimentichi se
stesso.
Purtroppo le scelte stilistiche adottate da Scaglione si rivelano incongruenti con il tono del racconto perché troppo televisive e con elementi quasi documentaristici soprattutto nell’uso frequente di zoom, telecamera e mano e fermo immagine. Ciò va a discapito dell’atmosfera fiabesca che aleggia nella storia e non rende giustizia ai meravigliosi panorami che fanno da sfondo alla vicenda.