Quando meno te lo aspetti: recensione

Si spengono le luci in sala e sullo schermo appare l’immagine di un bosco incantato. C’è una principessa che ha perso il cammino e non riesce a ritrovare la strada di casa. Ad un tratto nell’inquadratura entra un principe azzurro: è un presagio che promette alla donzella l’incontro imminente con l’uomo della sua vita, un sogno premonitore. Poi, improvvisamente, siamo catapultati nella realtà: Laura (Agathe Bonitzer), moderna principessa con alle spalle ventiquattro anni alla ricerca del suo principe azzurro, incontra Sandro (Arthur Dupont), compositore in erba incredibilmente simile al ragazzo dei suoi sogni, e decide al primo sguardo di aprirgli il suo cuore. Il loro è un idillio d’amore, fatto di passeggiate, baci e vagheggiamenti di matrimonio, destinato inevitabilmente al lieto fine, finché accade qualcosa di imprevisto: l’incontro di Laura con Maxime (Benjamin Biolay), moderno lupo cattivo di cui la pulzella non può che invaghirsi.

 

Contemporaneamente, i personaggi secondari di questa moderna fiaba, in un intreccio ingarbugliato di incontri improbabili, creano delle sottotrame interessanti: la madre di Laura (Béatrice Rosen), incurante di sua figlia, passa la vita tra un intervento chirurgico e un’iniezione di botulino per fermare l’effetto del tempo che passa, Marianne (Agnès Jaoui), fatina buona e zia della protagonista sta tentando di ricominciare una vita dopo la separazione dal marito e Pierre (Jean-Pierre Bacri), il burbero padre di Sandro, in modo maldestro tenta una convivenza con Eleonore e le sue due figlie. Quale sarà il loro destino?

Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri, co-sceneggiatori e compagni di lavoro e di vita, sembrano essersi divertiti molto nella scrittura di Quando meno te lo aspetti: destrutturando uno a uno i punti cardine della fiabe più note al pubblico, da Cappuccetto Rosso a Cenerentola, a Biancaneve, portano infatti sul grande schermo, con ironia e intelligenza, uno spaccato di ciò che potrebbe succedere dopo il famoso “ e vissero tutti felici e contenti”.

Già, perché alcuni dovranno affrontare un divorzio, altri un tradimento, altri ancora l’esperienza dell’amore che si trasforma in affetto, ma tutti si renderanno conto che i rigidi ruoli fiabeschi, patrimonio incrollabile dell’inconscio collettivo, sono destinati a sgretolarsi a contatto con la realtà.

La regia della Jaoui, inoltre, prosegue l’operazione di svelamento iniziata in fase di scrittura e non cela i suoi trucchi: trasforma alcune inquadrature in tableaux vivants, ne fa sfociare altre in stilizzati acquerelli e accompagna lo spettatore fino all’ultima pagina di una storia, a tratti prevedibile, che nel complesso risulta bizzarra e spassosa.

I richiami simbolici, dalla bellissima mela rossa offerta alla protagonista alla scarpetta perduta a mezzanotte, sono volutamente esagerati e si prendono bonariamente gioco di alcuni stilemi tipici delle fiabe. E, dove le immagini e le parole non arrivano, le musiche originali di Fernando Fiszbein giungono puntuali a legare ogni sfumatura della trama e ad enfatizzare l’aspetto concreto ed evanescente ad un tempo di questa poetica commedia.

Quando si riaccendono le luci in sala la magia svanisce, ma il sorriso sulle labbra resta ancora per un po’.

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