Sennen No Yuraku (The Millennium Rapture): recensione

Sennen No Yuraku

In Sennen No Yuraku (The Millennium Rapture) la casta dei Nakamoto è segnata da una maledizione, i discendenti maschi sono uomini di una rara bellezza che si insinuano facilmente nel cuore delle donne e che muoiono tutti precocemente. Questi proprio per il loro stile di vita, sono costretti a vivere in strada spinti da tentazioni e pulsioni, che li porterà ad essere in bilico tra la vita e la morte. L’intera storia ci viene raccontata dal punto di vista di Oryu, l’allevatrice che è testimone di questa condanna che si svolge su un isola di nome Okushiri, chiamata da tutti “il Vicolo”.

 

La storia è tratta dal romanzo Mille anni di piacere di Nakagami Kenji e la trasposizione è firmata da Kohi Wakamatsu e presentata nella sezione Orizzonti della 69° Mostra del cinema di Venezia. La storia è scritta e montata su due livelli, quella contemporanea di Oryu (Shinobu Terajima)  anziana che in preda a delle allucinazioni per via della malattia, parla con la foto del marito scomparso; E quello del suo ricordo sulle vicende dei tre ragazzi Nakamoto. Il primo è Hanzo, un donnaiolo incallito incapace di avere una certa stabilità negli affetti cambiando più spesso compagnia dopo averle usate per il proprio denaro e per nulla interessato al lavoro onesto. Subito dopo c’è la storia di Miyoshi anche lui donnaiolo ma anche dipendente da droghe e dedito ai furti per provare sempre nuove emozioni, ed infine c’è Tatsuo, cugino di Miyoshi, che se da un primo momento sembra distante dai modi di vivere degli altri due, Oryu ci metterà del suo portarlo sulla cattiva strada.

Mentre si percorre questo intreccio di storie e di vite interrotte, il regista rimane fermo, riproponendo al montaggio anche le stesse inquadrature suggestive di montagne all’alba o di nebbie sulle stradine delle città che oltre a richiamare uno stile di vita a cavallo tra l’ottocento e il novecento, vengono riproposte allo spettatore alla fine di ogni “storia” volendo sottolineare un tempo fermo e poco suscettibile al cambiamento.

La storia per quanto possa essere intrigante da sceneggiatura non suscita il coinvolgimento emotivo nonostante i temi così terreni di questi protagonisti; si guarda il tutto con una distanza che neanche Oryu ,caratterizzata con un atteggiamento e uno sguardo sempre in bilico tra l’istinto materno e il desiderio di essere un’amante, riesce a inquadrare del tutto. Di fatti, lo spettatore è cosciente e capisce che nonostante variano i vizi e gli eccessi, la fine è sempre la stessa non portando alcun insegnamento né riflessione su questa “generazione” di giovani, se non la testimonianza che i “vecchi” danno di loro, dagli ultimi pettegolezzi amorosi oppure della loro non curanza riguardo le usanze di Buddha o della poca voglia di lavorare.

Per quanto Kohi Wakamatsu si sia ritagliato un angolo tutto suo nel genere erotico-pulp, filma con coscienza e con poco trasporto l’impulso, portando lo spettatore in un atmosfera più morbosa che sensuale, restituendo solo in parte le tante tematiche che ha il libro, dai temi ancestrali che si riallacciano al buddismo o la memoria storica della sottocasta dei non-uomini burakumin, tuttora discriminata e a cui lo stesso autore apparteneva. Una piccola nota, molto belle e immersive le musiche interpretate da Hashiken e Mizuki Nakamura che funzionano anche come tema di raccordo per il montaggio.

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