Resident Evil: Welcome to Raccoon City, la recensione del film di Johannes Roberts

A cinque anni dall’ultimo capitolo di una delle saghe più prolifiche tratte da videogiochi, ecco che il regista Johannes Roberts scrive e dirige Resident Evil: Welcome to Raccoon City, riproducendo in maniera pressoché totalmente fedele l’origine della storia che nell’ormai lontano 1996 diede vita ad uno dei videogame di genere survival più famosi di sempre.

 

Johannes Roberts si appassiona al gioco, alle sue atmosfere e ai suoi personaggi e decide di farne una trasposizione mai realizzata fino a quel momento, riportando in vita – è proprio il caso di dirlo – la morente città di Raccoon alle prese con una strana e raccapricciante epidemia che ha fatto fuggire gran parte dei cittadini, al di fuori delle forze di polizia e di chi non può permetterselo.

Resident Evil: Welcome to Raccoon City si allontana dall’estetica di Paul W.S. Anderson

Non c’è nulla di paragonabile, quindi, alla serie di film scritta e diretta da Paul W.S. Anderson a partire dal 2002 – che peraltro è tra i produttori della pellicola di Roberts, insieme alla Capcom – a partire dai colori e dalle suggestioni che infondono le luci e la fotografia. Resident Evil: Welcome to Raccoon City è a tutti gli effetti un horror movie: cupo, piovoso e con scarsa visibilità nelle scene più tese.

I protagonisti sono ovviamente gli stessi: il giovane Leon Kennedy (Avan Jogia) al suo primo sfortunatissimo giorno di lavoro, Claire Redfield (Kaya Scodelario) ritornata in città a distanza di decenni, dopo essere fuggita dall’orfanotrofio di Raccoon, nel quale viveva col fratello Chris (Robbie Amell), oggi poliziotto insieme a Jill Valentine (Hannah John-Kamen) e Albert Wesker (Tom Hopper) e, naturalmente, il dottor William Birkin (Neal McDonough).

E riescono mediamente tutti a eseguire il compito della configurazione del proprio ruolo, nonostante il piattume, che con ottime probabilità non lascerà indenni gli spettatori affezionati, e non solo per quello.

Resident Evil: Welcome to Raccoon CityIl film si colloca nel genere zombie-movie

Il punto di forza di Resident Evil: Welcome to Raccoon City è sicuramente il suo essere un discreto film di zombi, con i giusti spaventi posti qua e là, un’estetica azzeccata e la rievocazione dell’aspetto grafico e visivo dell’originale da cui sorge, che sono veramente suggestive.

Il vero rischio quando ci si inerpica per le strade dei remake è sempre inesorabilmente quello di ferire il cuore e deludere in modo irrimediabile chi con quel tale prodotto ci è cresciuto. Ora, a onor del vero, il tentativo Johannes Roberts è comunque lodevole. Il racconto riassume i due primi capitoli del videogioco compattandone gli eventi e, nella bella cornice livida della seconda metà degli anni ’90, il montaggio si alterna a ritmo serrato e costante, seguendo i protagonisti divisi a gruppetti che tentano di salvare il salvabile e di capire cosa diavolo stia accadendo, mentre sulla via abbattono non morti.

Ci sono anche degli attimi d’ilarità, sempre accompagnati da quelle chicche musicali pop che mescolano braccia che si staccano su note nostalgiche e irresistibili.

Una nuova vita per un franchise esausto?

È dunque piacevolmente godibile Resident Evil: Welcome to Raccoon City. Scollandosi completamente dai lavori passati e mostrando ciò che davvero accadde in quella città fantasma infestata da mostri di varia natura, regala un’ora e quaranta tutto sommato appagante. Sarà quel clima del 1998, o il modo in cui Johannes Roberts mette in scena il punto di vista del giocatore in più di un momento, facendo calare lo spettatore proprio lì, dove evidentemente lui stesso è stato rapito dall’avventura di Resident Evil.

In tutti i casi è evidente che non sia l’opera che il fan purista vorrebbe fruire, ma è l’ideale per quelle serate sulle poltroncine di un cinema dove, di fronte a un bidone di popcorn, si narrano le gesta di un videogame che ha fatto la storia di milioni di (quasi) quarantenni di oggi.

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