Sugarcane: recensione del documentario candidato agli Oscar

Il film di Julian Brave NoiseCat e Emily Kassie è disponibile su Disney+

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Già disponibile su Disney+, Sugarcane, diretto da Julian Brave NoiseCat e Emily Kassie, è il film documentario candidato agli Oscar 2025 e dedicato all’indagine svolta sulla scuola cattolica St. Joseph di Williams Lake, in Canada; un istituto che faceva parte del sistema scolastico residenziale degli indiani canadesi, scopertosi essere luogo di abusi e violenze indicibili.

 

Attraverso le testimonianze delle vittime, Sugarcane svela gli orrori che si sono consumati per decenni dietro le mura dell’istituto, chiuso nel 1981, e si interroga sull’assordante silenzio calato sulla vicenda fino al 2021, quando la scoperta di fosse comuni vicino alla scuola ha finalmente portato alla luce la verità.

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Sugarcane è una produzione USA e Canada, della durata di 107 minuti. La fotografia è curata da Emily Kassie e Christopher LaMarca, il montaggio da Maya Hawke e Nathan Punwar, mentre le musiche sono di Mali Obomsawin. La produzione è di Hedgehog Films e Kassie Films.

La trama di Sugarcane

Julian Brave NoiseCat, oltre che regista è anche un testimone indiretto di questa tragedia. Suo padre, Ed Archie, ha frequentato il St. Joseph e ha subito abusi che lo hanno segnato per tutta la vita. Un legame che ha spinto il cineasta a intraprendere un viaggio doloroso, ma necessario per raccontare la verità.

Insieme a Emily Kassie, NoiseCat si è recato a Williams Lake, dove ha incontrato e ascoltato gli abitanti del luogo. Per ricostruire i fatti, entrare in profondità nelle vite delle vittime, e mostrare le ferite ancora aperte e il lungo cammino verso la guarigione.

Sugarcane: tra Storia e Immagine

La rappresentazione dei Nativi e del ruolo da essi rivestito nella composizione del tessuto sociale dell’America di oggi ha di fatto accompagnato l’evoluzione della Storia del Cinema e del genere hollywoodiano per eccellenza: il Western.

Raccontati per decenni alla stregua di primitive orde barbariche desiderose di assaltare le carovane della civiltà bianca in progressiva espansione, gli Indiani d’America hanno infatti potuto iniziare ad affrancarsi, solo di recente, dalla narrazione stereotipata affibbiatagli. In un processo che, senza dubbio accelerato (o quantomeno propagato) da pellicole di culto del calibro di Balla coi Lupi (1990), ha riscoperto negli ultimi anni un encomiabile impeto incendiario; volto alla denuncia delle numerose ingiustizie e dei soprusi che, inflitti per intere decadi alla comunità indigena, sono poi stati sistematicamente taciuti, se non addirittura insabbiati.

I segreti di Wind River di Taylor Sheridan, action-western-thriller pensato per fare luce sulla preoccupante mancanza di dati relativi alle persone scomparse appartenenti alla fascia demografica delle donne Native Americane, va in questa precisa direzione. E lo stesso vale per il geniale radiodramma posto da Martin Scorsese in epilogo alla sua ultima opera. Tessere di un puzzle audio-visivo che, con colpevole ritardo, sta tentando di fare ammenda di peccati reali a cui  “l’Immagine-Cinema” ha purtroppo contribuito a dare riverbero.  

Sugarcane: il dolore e la dignità

Nel medesimo solco di rabbia e indignazione si inserisce anche Sugarcane – seppur con le dovute, decisive differenze. Non solo per l’impostazione documentaria che di fatto segna una netta linea di demarcazione tra il film di NoiseCat e Kassie e i titoli poc’anzi citati. Ma in particolar modo per il sentimento di inevitabile partecipazione emotiva del regista nei confronti del racconto; che vede suo padre, Ed Archie, tra le persone maltrattate dal sistema scolastico.

Sebbene alcune didascalie che precedono i titoli di coda non manchino di raccontare il fenomeno nella sua vastità (anche territoriale), Sugarcane concentra infatti le proprie indagini sulla scuola cattolica St. Joseph di Williams Lake in Canada. E lo fa ponendo l’accento non tanto  sul lavoro investigativo o sulla ricerca di informazioni in sé (a cui concede comunque largo spazio nel corso della narrazione), quanto sul contatto umano, di tipo archeologico, necessario a scandagliare i dolorosi ricordi delle vittime. I cui traumi, segnati sui volti scavati dal tempo, emergono con prepotenza e colpiscono dritto allo stomaco; arrivando a rievocare, nella loro tragicità, pagine di Storia che pensavamo appartenere a un certo tipo di immaginario passato – “A tutti veniva dato un numero”. 

Alternando momenti istituzionali a frangenti più intimi – tra i quali spiccano i sofferti dialoghi tra Julian e il padre – il documentario arriva persino a giocare sul contrasto tra la natura incontaminata che circonda le località della strage canadese e la magniloquenza umana visibile nelle “aule” del Clero di Roma – evocate nella rievocazione dell’incontro, avvenuto nel 2022 nella capitale, tra Papa Francesco e diversi sopravvissuti. Ma colpisce soprattutto in virtù del vigore con cui, in maniera simile a quanto raccontato da To Kill A Mongolian Horse all’ultimo Festival di Venezia, i due registi raccontano l’orgoglio di un popolo che non ha mai smesso di lottare.   

E che tra danze, lingua e canti della tradizione, grida ancora con forza la propria dignità.

Sugarcane
3.5

Sommario

Un film doloroso, che colpisce soprattutto in virtù del vigore con cui i due registi raccontano l’orgoglio di un popolo che non ha mai smesso di lottare.  Un atto tra condanna e memoria, di grande intimità.

Dario Boldini
Dario Boldini
Laureato in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, ha collaborato con l'Associazione Culturale Lo Sbuffo a partire dal 2019, scrivendo articoli e approfondimenti sul mondo dello spettacolo. Ha poi frequentato la specializzazione in Critica cinematografica presso la rivista e scuola di cinema di Sentieri Selvaggi di Roma, con la quale collabora dal 2022. Appassionato di cinema e serie tv, collabora con Cinefilos dal 2023. A partire dal 2022 ha partecipato a diversi festival cinematografici su territorio nazionale, tra cui quelli di Venezia, Roma, Torino, Bergamo e Trieste.

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