The first Slam Dunk: recensione del film di Takehiko Inoue

Il film anime porta al cinema l'adrenalina del celebre "shōnen". In sala il 10 maggio in lingua originale, dall'11 al 17 in italiano

“Ok te lo spiego io. Slam Dunk vuol dire essere una stella del basket. Significa saper giocare in modo da eccitare il pubblico e quando la paura dell’avversario fa concentrare tutta l’energia in un canestro quello si chiama Slam Dunk”.

 

Sono trascorsi trent’anni dalla messa in onda di quel primo episodio dell’anime. Oggi, il mangaka giapponese Takehiko Inoue firma The first Slam Dunk, quinta trasposizione filmica di uno dei brand più amati dal pubblico orientale e di tutto il mondo; donando nuova linfa al microcosmo della pallacanestro liceale che Hanamichi Sakuragi e compagni hanno contribuito a rendere celebre.

Una produzione Toei Animation, un film in tecnica mista (tra CGI e disegno a mano); un’occasione unica per rispolverare la divisa rosso fuoco dello Shohoku e scendere nuovamente in campo.

The first Slam Dunk: una nuova partita

Riparte da lontano The first Slam Dunk, da un campetto nella città di Okinawa, da un uno contro uno tra fratelli. A calcare il cemento e ritagliarsi un ruolo da protagonista non è però il solito Hanamichi, bensì un giovanissimo Ryōta Miyagi, futuro playmaker dello storico quintetto base dello Shohoku. Lo sguardo del numero 7, innamoratosi della pallacanestro grazie al fratello maggiore Sota, scomparso prematuramente a causa di un incidente in mare, è il filtro selezionato da Inoue per elaborare il proprio racconto. Un racconto che ai flash del passato e del tormentato percorso di crescita di Ryōta, alterna l’impeto del presente narrativo, palcoscenico dell’adrenalinico incontro-scontro fra i team Shohoku e Sannoh.
Contro ogni pronostico, la squadra di Ryōta si è infatti guadagnata la possibilità di rappresentare la Prefettura di Kanagawa al torneo nazionale di basket. E il match contro “l’imbattibile” Sannoh, campione in carica, rappresenta un turning point decisivo per la competizione.

Convergenza tra due mondi

Quella raccolta da The first Slam Dunk è un’eredità pesante. Un’eredità che affonda le proprie radici nell’ottobre del 1990, nel primo dei trentuno volumi che di lì a pochi anni ci avrebbero consegnato uno degli shōnen più iconici dell’epoca. Da quel giorno, indelebile nella storia della narrazione sportiva giapponese, il brand Slam Dunk si è arricchito di un anime di centouno episodi (1993-1996) e quattro film animati (tra il 1994 e il 1995), ispirando al contempo una ricca produzione di videogiochi tratti dalla serie.
Parlare di The first Slam Dunk significa allora, innanzitutto, dialogare con il suo citazionismo, coglierne i numerosi rimandi interni, apprezzarne gli scorci temporali su di un passato che è memoria, leggenda, catalogo di un immaginario collettivo. Senza naturalmente tralasciare l’importanza di un connaturato omaggio all’NBA, da sempre faro di ispirazione per l’autore nipponico.

Ed è con il pensiero al massimo campionato di basket statunitense che il rilascio di The first Slam Dunk, a poche settimane da Air – La storia del grande salto, sembra suggerire un confronto tra due prodotti che, seppur manifesto di ragionamenti antitetici sulla pallacanestro, scaturiscono da una medesima scintilla. Perché se è vero che il film di Inoue eleva la purezza sportiva del gioco, a discapito di una dimensione – quella proposta da Affleck – improntata al merchandising e alla realizzazione del sogno americano, è altresì innegabile il comune valore sociale – e la comune bruciante passione – che sottende la visione del basket di entrambe le opere. Un basket che è creatore di icone, di attimi interminabili, di fiati sospesi e storie che infondano la voglia di volare.

Un campo, una vita

Ma il campo da basket, come spesso accade negli “spokon” (da Judo Boy a L’uomo Tigre, da Mila e Shiro a Holly e Benji), è solo l’intrigante pretesto che The first Slam Dunk sfrutta come contenitore di spunti. Come centro propulsore per una narrazione di più ampio respiro.
Il racconto di Inoue è storia di perdita, di lacrime e dolore; ma l’iniziale focus su Ryōta, sinfonia di sottofondo all’intero film, si allarga ben presto a includere i principali componenti della squadra, a suggerire incomprensioni, debolezze o punti di forza del gruppo. Così che i diversi momenti della partita contro il Sannoh divengano link d’accesso a ricordi e vecchi incontri; essenziali attimi di rilettura che dal campo invadono la vita e dalla vita traggono la forza necessaria per lottare sul campo.
Fino all’istante in cui, proprio sulla sirena, il pallone si stacca dalle mani di un campione, nel vuoto pneumatico di un’attesa che sembra non terminare mai.
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