The Last Face: recensione del film di Sean Penn

The Last Face

L’Africa è ancora oggi un continente martoriato dalle guerre, dalla violenza, dal sangue e dai morti, così come dai feriti e i rifugiati sopravvissuti. Un panorama brutale, sconsolante, tenuto in vita – solo per alcuni versi ovviamente – da tutte quelle organizzazioni umanitarie, le Nazioni Unite, quei medici senza frontiere che sacrificano la loro vita per metterla nelle mani di chi ne ha bisogno. In The Last Face Miguel e Wren sono due di loro, due dottori che operano in Liberia, uno dei Paesi più colpiti dell’intero territorio africano. Al suo interno vige soltanto il caos, la disperazione, l’aggressività, l’insicurezza, poiché nessun luogo è al riparo da attacchi, dai proiettili, dall’angoscia; una terra dal presente talmente orribile che all’orizzonte non si palesa nessun futuro, anche perché le generazioni più giovani non esistono più, i pochi sprazzi che sopravvivono sono fagocitati dai pirati o dagli insetti.

 

The Last Face, il film

Sean Penn ha deciso di raccontare tutto questo seguendo da vicino la storia d’amore fra i due medici protagonisti, che fra i colpi dei kalashnikov e le amputazioni forzate hanno il bisogno di trovarsi, di stare insieme, di rincorrersi e lottare costantemente con i loro fantasmi. Perché rimanere sul campo di guerra non è affatto facile, a meno che non si abbia una fede spropositata nel lavoro che si va a compiere tutti i giorni; se Miguel è abbastanza certo del suo destino, tanto da metterlo davanti ai sentimenti quando necessario, Wren è infinitamente più titubante, motivo per cui arrivata al limite estremo decide di abbandonare tutto, di tornare alla più sicura vita d’ufficio. L’ultimo volto, la The Last Face del titolo, è il ricordo di Miguel, lontano e altrove.

Anche se dalle poche righe di sinossi può sembrare un’opera impegnata, dall’alto valore sociale, il risultato è al di sotto di ogni possibile aspettativa. Al di là dell’idea di rappresentare il trauma della guerra tramite una storia d’amore fra due medici bellocci e passionali, che può apparire fuori luogo se non di cattivo gusto, è la fattura del progetto che copre di ridicolo i suoi autori. Il budget a disposizione ovviamente fa sì che la qualità delle immagini, della fotografia, della regia, sia sempre ottimale, peccato però che tutto sembri un enorme spot alle Nazioni Unite, o all’Otto per Mille della Chiesa Cattolica, a una qualsiasi associazione umanitaria impegnata davvero sul campo. Tutto è rappresentato in modo esagerato, osceno, non si ha rispetto per il dramma che i liberiani vivono sulla loro pelle tutti i loro difficili giorni. Sotto i riflettori vi è costantemente il sangue e la lotta interiore di ogni singolo medico, mai sicuro di continuare la strada intrapresa (inoltre vista la scelta finale di Wren, si fa ancora più fatica a digerire il tutto).

Non aiutano le interpretazioni di Javier Bardem e Charlize Theron, belli e affascinanti insieme, ma con in mano personaggi dallo spessore irrilevante, quasi fastidioso a tratti; non pervenuti poi i frutti della co-produzione francese, che ha imposto alla produzione americana due dei suoi attori nazionali, Jean Reno e Adèle Exarchopoulos. Solo poche battute imbarazzanti per loro, in grado di suscitare l’ilarità del pubblico in momenti in cui ridere dovrebbe essere l’ultima cosa. The Last Face è dunque una vera ecatombe cinematografica, un modo ignobile di trattare temi dalla grande importanza umana e civile, senza carattere e con una irritante patina da spot televisivo. La vera pubblicità suscita ben più interesse.

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